La sua voce, che inizialmente si era avvicinata alla world music per arrivare al rock passando dal tango (con l’unico album da lei scritto per lo spettacolo “Neapolis Tango” nel '99), rilegge 14 brani della tradizione napoletana da “O sole mio” a “Dove sta’ Zazà”, da “Luna rossa” a “Oi vita mia”.
Eugenio Bennato, che ha inserito l'album di Pietra all’interno del suo progetto Taranta Power, si è occupato della scelta dei brani e dell'elaborazione dei suoni
Napoli, XVIII secolo. Antonio Salvatore Sapore, detto Totò, è un giovane cantastorie squattrinato che gira per le strade della città cantando canzoni che parlano del piacere del buon cibo, adorato dai napoletani per la sua abilità nel distogliere la gente dalla fame e per mantenere tutti allegri.
Tuttavia Vesuvia, la perfida strega padrona del Vesuvio, fatta di magma incandescente, non sopporta l'allegria dei napoletani e dunque odia Totò, poiché ne ritiene l'artefice. La strega architetta quindi un piano diabolico: dato che Totò non ha nulla da perdere, Vesuvia decide di dargli qualcosa per poi improvvisamente togliergliela e fargli perdere la sua tanto apprezzata allegria. Vesuvia dunque invia a Napoli il suo inetto servo Vincenzone, che, presentandosi a Totò come un notaio americano, gli consegna quella che dice essere una eredità proveniente da un non ben identificato parente. Essa consiste in quattro vecchie pentole, che lasciano amareggiato e deluso Totò. Questi, al tramonto, va sulle scogliere di Napoli, e, parlando con la madre morta, rivolto verso il cielo, si lamenta che il destino gli è contro e poi, quasi ironicamente, pensa se quest'ultimo potesse almeno fargli trovare l'amore.
«...E io vado su, fermandomi un istante per sognare, ma vedo il mondo da rifare e allora torno giù...»
(Totò Sapore)
Vesuvia, venendo a sapere del desiderio di Totò di innamorarsi, dà istruzioni a Vincenzone di fare incontrare il giovane cantastorie con la bella Confiance, una bionda fanciulla, casualmente in giro per le scogliere. Vincenzone riesce a far imbizzarrire il cavallo che traina la carrozza della ragazza e Totò, attirato dalle urla della ragazza, riesce a fermare il cavallo prima che questi raggiunga la fine della scogliera. Confiance lo ringrazia e poi, dopo averlo riconosciuto, inizia a conversare con lui. I due personaggi vengono però richiamati dalla voce di Pulcinella Cetrulo, un simpatico ex attore teatralenapoletano, che vorrebbe gettarsi dalla scogliera. Totò gli salva la vita in una scena alquanto comica, mentre Confiance, cercata dal suo padre adottivo a gran voce, è costretta a tornare a corte, facendo in tempo a rivelare a Totò solo il suo nome.
«Io ti do tutto, io ti do tutto, e all'improvviso, ti tolgo tutto!!!»
(La canzone di Vesuvia)
Totò e Pulcinella decidono di passare la notte bivaccando nei pressi dei vecchi ruderi vicini alla scogliera. I due, affamati, tentano di cucinare degli insetti trovati da Pulcinella nelle pentole di Totò e scoprono che le pentole sono magiche, in quanto sono in grado di parlare e di trasformare qualsiasi cosa venga messa all'interno in ogni cibo, cosicché Totò può realizzare il suo sogno di diventare un bravo cuoco. Questi decide inizialmente di usare le pentole per sfamare la povera gente di Napoli, e i napoletani, durante i festeggiamenti, chiedono a Totò se, nel caso in cui, a causa della sua popolarità, gli venisse chiesto di fare il cuoco a corte, lui si dimenticherebbe di loro lasciandoli allo sbando, ma il ragazzo li rassicura affermando di non voler mai diventare un cuoco di corte. Vesuvia, spiandolo, decide di adottare un astuto espediente per allontanare Totò dalla povera gente di Napoli.
Personaggi
Antonio Salvatore Sapore in arte Totò Sapore: è il protagonista del film. Sogna di essere un grande cuoco, ma non ha di che riempire lo stomaco. L'allegria però non gli manca, e così se ne va in giro ad intonare canzoni che narrano di pranzi principeschi. Ad ostacolarlo c'è la vecchia e malvagia strega Vesuvia che, dopo svariati tentativi, riesce a imprigionare Confiance e a scatenare una guerra tra la Francia e il regno di Napoli. Tuttavia Totò riesce a cavarsela inventando un nuovo piatto: la pizza.
Pulcinella Cetrulo: è la simpatica figura, tipica in ogni avventura napoletana. Incontra Totò mentre cerca di prendere delle uova per sfamarsi e in seguito ne diventa amico e collaboratore. Il suo aspetto è stato realizzato secondo il modello disegnato dallo scenografo Emanuele Luzzati.
Confiance: è il grande amore di Totò. Bionda, con occhi azzurri e la pelle chiara vive a palazzo, in quanto figlia adottiva del cinico cuoco francese Mestolon. Per colpa del patrigno, che nutre invidia nei confronti di Totò, viene sempre allontanata da questi. Ma infine l'amore trionferà dopo la sconfitta del vile patrigno.
Vesuvia: è la principale antagonista del film. È una strega malvagia, crudele, infida, spietata, diabolica, minacciosa, spregevole, intelligente, irascibile, odiosa, folle, squilibrata, assetata di potere e senza cuore, che vive nel Vesuvio; è fatta interamente di lava incandescente e sogna di sconfiggere Totò, e soprattutto l'allegria nel cuore dei Napoletani. Alla fine però Totò avrà la meglio nei confronti della peggiore nemica, che verrà solidificata dalla pioggia.
Vincenzone: è il tirapiedi di Vesuvia, nonché aspirante attore teatrale. Orco ingenuo ma di animo buono si alleerà con Totò dopo la sconfitta di Vesuvia e contribuirà all'invenzione della pizza, oltre che al salvataggio di Confiance.
Jacques Mestolon: è l'antagonista secondario del film. Un cuoco francese di corte e padre adottivo di Confiance. Prova grossi risentimenti nei confronti di Totò e questo provoca anche il contrasto con la figlia adottiva. Ha un carattere mostruosamente irascibile, cinico, infido, spregevole, vile, isterico, egoista e odioso ed ha un cagnolino di nome Dudù a cui capita spesso di fargli male.
Le quattro pentole magiche: sono il regalo per Totò all'inizio dell'avventura. Le pentole sono state create da Vesuvia con la sua lava magica per rendere Totò il miglior cuoco di Napoli per poi toglierle quando sarà arrivato all'apice della sua fama e farlo poi cadere in disgrazia e togliergli l'allegria con cui contagia tutti i napoletani. Hanno un ruolo principale nel film, in quanto non sono pentole qualsiasi: possono trasformare qualsiasi oggetto in un piatto principesco. I loro nomi sono Marmittone, Sora Pasta, Pentolito e Tegamino.
Gennaro: è il fabbro che restaura le pentole magiche, dopo che si erano sciolte nella lava bollente.
Seppur con una trama ovviamente romanzata, “Totò Sapore” racconta la genesi della pizza non solo come importante piatto della tradizione culinaria partenopea, ma come elemento storico dalle caratteristiche uniche: essendo un piatto popolarissimo sia presso il popolo napoletano più povero e umile, che al tempo ne rappresentava la maggioranza, sia presso i più nobili, compresi i sovrani borbonici, la pizza fu capace di annullare le enormi distanze culturali e sociali tra popolo e regnanti.
La storia della pizza è caratterizzata comunque da datazioni incerte: la pellicola colloca la sua nascita nel Settecento, periodo in cui esistono notizie storiche di una prima unione tra pasta della pizza e pomodoro, abbinamento apprezzato, come già detto, dal “popolino” e dai nobili, tanto che Ferdinando IV sembri la facesse cuocere nei forni di Capodimonte. Tuttavia, esistono due importanti testimonianze storico-temporali della presenza della pizza sia prima che dopo il XVIII secolo. Nel Seicento vi sono notizie di una pizza soffice chiamata “mastunicola”, preparata con formaggio e basilico, mentre nel 1889 arriva la più importante e affermata approvazione, oltre che alla notizia storica più conosciuta: la nascita della “pizza margherita” in onore della principessa Margherita di Savoia in visita a Napoli. Il riconoscimento più prestigioso per la pizza napoletana come importante patrimonio culturale arriva nel dicembre del 2017, con l’ingresso della pizza nel patrimonio dell’Unesco.
SCOPA A SETTE. Una partita a scopa mette di fronte due coppie. Da un lato il maturo figlio di un marchese e il portiere del palazzo in cui vive, dall'altro Bibberò e Sanguetta, due fornitori dai metodi molto spicci.
LE NOZZE. Teresa, 24 anni e Gino, 27 anni, litigano di continuo, perché si sono sposati in municipio, lui è senza lavoro e non hanno una casa propria, Per ritrovare equilibrio, decidono di sposarsi in chiesa, subito, senza prete, invitati, solo con la loro parola. Entrano e, davanti all'altare, si scambiano la promessa di amore eterno. Escono e Teresa dice a Gino di essere incinta. Dalla chiesa il sacerdote li guarda, richiude, si rivolge verso l'altare.
FRED. Una coppia di sposi argentini arriva a Pompei nel giorno in cui l'ingresso agli scavi è chiuso per sciopero. Lui in realtà è di Avellino e fa l'attore di telenovelas, lei è bella e affascinante. Pasquale, conquistato dalla donna, li fa entrare. Lui e il marito cominciano a punzecchiarsi e infine tra loro nasce una vero e proprio duello a colpi di pistola.
RICHARD GERE. A Secondigliano Mimmo, deciso a fare l'attore, sta per dirigersi verso lo studio di una televisione privata che organizza corsi fasulli, quando alla fermata dell'autobus crede di vedere Richard Gere, suo idolo, che sale su un elicottero, gli fa un cenno con la mano e va via.
CIARLI E GERRI. Ciarli e Gerri, due suonatori di sax, sono invitati ad uno spettacolo in un paesino. Derubati degli strumenti, vanno ugualmente sul palco, improvvisano uno sketch ed ottengono grande successo. Si vedono restituire gli strumenti e, sulla strada del ritorno, si fermano in un campo di raccolta di pomodori. Qui un uomo di colore si fa dare il sax, comincia a suonare e tutti gli altri lavoranti lo seguono.
Il testo del brano racconta di un uomo recatosi sotto il balcone della donna da lui amata per dichiararle il suo sentimento, sebbene lei sia già sposata a un altro uomo, che dorme al suo fianco. Non a caso, si tratta di un componimento dal contenuto puramente autobiografico: infatti Nicolardi, all'età di 25 anni, si era invaghito di Anna Rossi, la quale, per volere dei genitori, andò in sposa a Pompeo Corbara, un facoltoso commerciante settantacinquenne, ma dopo la morte di quest'ultimo, egli poté infine prendere la ragazza come moglie. Imponente la versione di Mario Abbate con una orchestra sinfonica da 90 elementi per la storica casa discografica napoletana Phonotaype record. Tra le tante versioni di Voce 'e notte, interpretata sia dai più grandi esponenti della musica partenopea (Roberto Murolo, Lina Sastri, Piero Valli) ed italiana (Claudio Villa), nonché da artisti stranieri, vi è quella cantata da Peppino di Capri, nel 45 giri At Capri you'll find the fortune/Voce 'e notte, inciso nel settembre 1959, che raggiunse le prime posizioni della hit parade dei dischi più venduti in Italia.
L'anno successivo la canzone fu incisa da Franco Franchi in un flexy disc allegato alla rivista il Musichiere. Nel 2010 il gruppo Homo Sapiens ha incisa una versione con arrangiamento personalizzato e che ripropone ad ogni concerto.
In “Balìa” Gragnaniello, che è anche produttore artistico ed esecutivo del disco, posa il suo mondo dentro a sonorità world, come si chiamano oggi. Tanto che compaiono, con ruoli per niente secondari, strumenti come chalumeau, oud, bouzouky, tamburi ad acqua, launeddas e così via. Questa scelta dà vitalità e spessore a tutte le tracce. Fra i vari ospiti da segnalare la presenza, in “La casa col cancello”, di Alessandro Haber.
E’ sicuramente un buon compromesso quest’album, un compromesso di quelli alti, tra una scrittura solida e tutto sommato classica e la tendenza, il bisogno di guardarsi attorno musicalmente, a non limitarsi alle coordinate della musica moderna occidentale. Potrebbe essere, questo lavoro, un modello per chi vorrà compiere questo percorso, senza rinunciare alla commerciabilità del prodotto. Tutte le canzoni hanno una loro bellezza, una loro coerenza. Inutile citare questo o quel pezzo. Basta prenderne un paio a caso per farsi un’idea del progetto e del valore dell’intero disco.
E’ chiaro che Napoli in vari modi è comunque al centro di questa musica. Ma con Gragnaniello questo è inevitabile. Però la scelta di aprirsi a mondi diversi partendo dal proprio pare un passaggio credibile e adeguato, un passo fatto consci della lunghezza della propria gamba.
Signori si nasce è un film del 1960 diretto da Mario Mattoli. Il Santo Ottone di cui si parla nel film è realmente esistito; si tratta del francescano Sant'Ottone.
Anno 1906, età giolittiana: il barone Ottone Spinelli degli Ulivi, detto Zazà, nonostante la sua nobile ascendenza, è sempre al verde, a causa di una vita dissoluta passata dietro le quinte dei teatri a corteggiare le soubrette. Nonostante l'indigenza economica, l'uomo continua a intrattenere una vita da nobile, vivendo in un albergo e servito dal fedele Battista. Incalzato da un creditore insoluto, tale Bernasconi, viene denunciato perché ha falsificato la garanzia su una cambiale in scadenza e ovviamente scoperta.
Messo alle strette, Zazà decide con riluttanza di accettare il consiglio di Battista, ossia chiedere un prestito al fratello Pio degli Ulivi, titolare di una sartoria frequentata principalmente da prelati e suore. Tra i due fratelli non corre buon sangue a causa dello stile di vita di Zazà, ritenuto immorale da Pio, uomo timorato di Dio, dedito al lavoro ed alla carità. Presentatosi a casa del fratello, Zazà viene scacciato e, per dispetto, fa credere al fratello di volersi suicidare. Rientrato in casa, riceve l'inaspettata visita della bella e spregiudicata soubrette Patrizia, che finge di sedurlo allo scopo di dimostrargli il suo talento recitativo e quindi chiedergli di farle ottenere la parte in una Rivista.
Zazà spiega alla ragazza che lo spettacolo era stato abbandonato dal produttore ma, nel mezzo della discussione, arriva Pio, spaventato dalle minacce suicide del fratello. Per spillare quattrini a Pio per la cambiale e per rilevare la Rivista, Zazà decide di far credere al fratello che Patrizia è sua figlia. Valutata la situazione, Pio decide di invitare fratello, presunta nipote e presunto fidanzato di Patrizia a casa sua.
Il film è stato girato in Campania e precisamente presso il centro di Grottaminarda (AV) in Irpinia dove nel centro sorge la Piazza Intitolata al principe della risata e dove è possibile ammirare il bassorilievo dello stesso scolpito sulle pareti della scalinata della piazza stessa Gli interni negli stabilimenti IN.CI.R. De Paolis di via Tiburtina a Roma .
Zazà : Ho notato, in data odierna, che siete una mappata di mozzarelle.
Sul finir della sua vita l'anziano Ferdinando di Borbone rievoca morente le follie giovanili, e il suo iniziale odio e poi amore per Maria Carolina d'Asburgo-Lorena. Fin da piccolo il vivace Ferdinando si dedica agli scherzi e ai divertimenti, senza occuparsi minimamente degli affari politici. A otto anni suo padre, Carlo di Borbone, diventa re di Spagna e gli lascia il trono di Napoli.
Tuttavia neanche adesso il giovane, divenuto re di Napoli, sembra interessato alla gestione dello Stato: seppur affiancato dai validi (invero molto conservatori) San Severo, Tanucci e Galiani, egli passa le giornate tra battute di caccia con i suoi "guappi" e incontri galanti con la sua amante, la principessa di Medina, che egli intende sposare.
Tuttavia il padre ha già combinato il matrimonio del rampollo con una figlia dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria: Ferdinando diventa fidanzato di Maria Giuseppa e poi di Maria Giovanna, ma entrambe muoiono di vaiolo e egli comincia a odiare e temere allo stesso tempo la famiglia degli Asburgo-Lorena, che egli accusa di essere "fracica", cioè di salute molto cagionevole.
Alla fine viene concordato il suo matrimonio con Maria Carolina, celebrato quando i due erano poco più che bambini (17 anni lui, 16 lei). A dispetto di quel che egli stesso aveva pensato, Ferdinando rimane folgorato dalla bellezza della consorte e per un po' di tempo la coppia vive felice. Tuttavia la regina, una volta divenuta più esperta della vita di palazzo, comincia a essere più severa nei confronti del marito (lo costringe a studiare) e dei suoi consiglieri, che contro la sua volontà fanno arrestare i membri di una loggia massonica formata da amici della nobildonna austriaca.
La famiglia reale genera due figlie, ma il maschio sembra non voler arrivare. Temendo che Ferdinando sia in balia della moglie, l'abate Galiani, in combutta con due avventurieri francesi e con il benestare del re Carlo, organizza una messinscena: chiede all'ex cameriera Sara Goudar di sedurre il re in modo da allontanarlo dalla moglie. La prosperosa donna riesce nell'intento e, venutolo a sapere, anche Maria Carolina tradisce il consorte. Alla fine però i due si riappacificano e finalmente danno al mondo l'erede maschio.
L'album prende nome dalla bella 'mbriana, spirito casalingo facente parte dell'immaginario popolare napoletano; ciò testimonia l'avvicinamento del cantante ad un tipo di musica più tradizionale, in un certo senso etnico in anticipo sulla world music che verrà consacrata pochi anni dopo l'uscita di questo disco.
Nuje ca cercammo Dio
Stammo pè sempe annure
Nuje ca cercammo 'o bbene
Nun simmo maje sicuri
Parlare di Pino Daniele per me è un'impresa ardua, quasi imbarazzante, e lo è ancora di più quando si tratta l'argomento "Bella 'Mbriana". L'album, registrato dalla EMI nel lontano 1982, è una finestra aperta sull'animo di un musicista partenopeo che ha ormai raggiunto il suo apice tecnico-compositivo, e vuole cantare in maniera più elegante e disinteressata possibile della malinconia napoletana. E' difficile quindi decontestualizzare quest'album e parlarne da una posizione il più possibile neutro: è il fine ultimo dell'opera che induce a ricordare con malinconica nostalgia l'atmosfera dei difficili albori degli anni '80 in quel di Napoli, percossa e tormentata dal manto nero della corruzione, dell'omertà e dell'impotenza del popolo che vede nel racconto, nel canto e nella filosofia la propria valvola di sfogo (sono gli anni della violenta rivalsa del neapolitan power, dei film di de Crescenzo e Troisi). Si diffonde una sorta di saggezza popolare che sfocia in una coesione e in un senso di appartenenza ad una causa comune, che vede protagonisti il popolo minuto come gli intellettuali. Il titolo dell'album è emblematico: "Bella 'Mbriana" è lo spirito casalingo protagonista dell'antica leggenda napoletana. E' un racconto della vita quotidiana di questa città, vista però dall'interno, dallo sguardo disincantato di un popolano come un altro. Pino getta macchie vivide di colore che come un quadro espressionista, si conformano nel delineare la fisionomia più sincera e pura della città. https://www.debaser.it/pino-daniele/bella-mbriana/recensione
2006, pp. 144, con un inserto di 16 tavole a colori
ISBN: 9788860360649
«La storia che stiamo per raccontare ha dello straordinario. È la storia della canzone più famosa nel mondo, anzi nell’universo. Comincia a Napoli oltre un secolo fa, prende forma (forse) nella lontana Odessa, poi riparte da Napoli per diffondersi trionfalmente in ogni angolo della Terra...». Così Paquito Del Bosco conduce il lettore in questa curiosa e imprevedibile narrazione delle vicende che hanno accompagnato la nascita e lo straordinario successo internazionale di ’O sole mio. Scopriamo, per esempio, che Jurij Gagarin, nel corso del volo che portò per la prima volta un uomo intorno all’orbita lunare, scelse di intonare proprio ’O sole mio; oppure, che alle Olimpiadi di Anversa del 1920 il direttore della banda musicale, che non aveva lo spartito dell’Inno nazionale italiano, scelse al suo posto di suonare ’O sole mio, che tutti i musicisti conoscevano a memoria. Oltre a cercare di fare chiarezza sui numerosi luoghi comuni che accompagnano la nascita della «canzone più famosa dell’universo» e di svelarne segreti meno noti, l’autore ne ripercorre anche la tormentata vicenda editoriale, non ancora conclusa. Con la competenza e la passione di un grande conoscitore della canzone napoletana, Paquito Del Bosco costruisce un percorso che attraverso suggestioni, aneddoti e un vasto, inedito apparato iconografico, narra la vicenda della canzone più amata e interpretata che la storia della musica ricordi.
Paquito Del Bosco è direttore artistico dell’Archivio sonoro della canzone napoletana realizzato da Radio-Rai e consulente della Direzione Teche-Rai. Esperto della canzone d’epoca, ha lavorato nei maggiori archivi nazionali, da quello di Stato all’Istituto Luce, dall’Archivio del movimento operaio a quello diaristico di Pieve Santo Stefano. Oltre venticinque anni fa ha riunito una delle maggiori raccolte di dischi a 78 giri esistenti in Italia, parzialmente pubblicata dalla Fonit-Cetra. https://www.donzelli.it/libro/9788860360649
"La storia che stiamo per raccontare ha dello straordinario. È la storia della canzone più famosa nel mondo, anzi nell'universo. Comincia a Napoli oltre un secolo fa, prende forma (forse) nella lontana Odessa, poi riparte da Napoli per diffondersi trionfalmente in ogni angolo della Terra...". Così Paquito Del Bosco conduce il lettore in questa curiosa e imprevedibile narrazione delle vicende che hanno accompagnato la nascita e lo straordinario successo internazionale di 'O sole mio. Scopriamo, per esempio, che Jurij Gagarin, nel corso del volo che portò per la prima volta un uomo intorno all'orbita lunare, scelse di intonare proprio 'O sole mio; oppure, che alle Olimpiadi di Anversa del 1920 il direttore della banda musicale, che non aveva lo spartito dell'Inno nazionale italiano, scelse al suo posto di suonare 'O sole mio, che tutti i musicisti conoscevano a memoria. Oltre a cercare di fare chiarezza sui numerosi luoghi comuni che accompagnano la nascita della "canzone più famosa dell'universo" e di svelarne segreti meno noti, l'autore ne ripercorre anche la tormentata vicenda editoriale, non ancora conclusa.
' O sole mio è stata la canzone più famosa del globo per decenni, con la voce di Caruso è arrivata in tutti le parti del mondo» racconta Paquito Del Bosco, direttore dell' archivio sonoro della canzone napoletana e autore di un brillante saggio in uscita nei prossimi giorni per Donzelli (' O Sole mio, 16,90 euro). «E' quasi un sedimento ancestrale, perché parla del sole. Ma è anche un inno universale, un' elegia, un canto alla natura: è cugina di quel fratello Sole di San Francesco». Questa specie di inno planetario ha una storia che merita un romanzo, e il libro di Del Bosco quasi lo è, pieno di peripezie e colpi di scena. La canzone è del 1898, l' ha scritta Giovanni Capurro, poeta a tempo perso e socialista, paroliere per la Ricordi a 25 lire a canzone. La leggenda narra che Capurro abbia copiato l' idea del soggetto - il sole - ascoltando un canto in versi di un venditore di persiane ambulante. La musica di ' O Sole mio è invece di Eduardo Di Capua, classe 1865, mandolinista e compositore di una famosa troupe di "posteggiatori" (sua è anche I' te vurria vasà' e Torna di maggio). Di Capua scelse un bolero, un ritmo all' avanguardia per l' epoca. Ma sarà Caruso a dare alla canzone il successo internazionale, incidendola per la Voce del Padrone, e inserendola, tra le pochissime, nel suo repertorio di canzoni napoletane. E dopo Caruso sarà Elvis Presley a far sbancare ' O sole mio: nel '59, durante il servizio militare in Germania, ne ascolta una versione in inglese (There' s no tomorrow) e la trasforma in una versione cha-cha-cha: la celeberrima It' s now or never.
Ma questa canzone-manifesto è oggetto anche di un paradossale equivoco e di un mistero all' italiana. L' equivoco è nella traduzione italiana, che è sbagliata: il ritornello (Ma n' atu sole/cchiù bello, oj ne' ) non significa affatto che "un altro sole più bello non c' è". "Oj ne' " sta invece per "oj nenna", vale a dire ragazza, e sarebbe quindi lei l' altro sole. Sbagliata una volta la traduzione italiana, a catena tutte le traduzioni del mondo, dal Brasile alla Corea, dalla Bulgaria alla Svezia, perpetuano l' equivoco tra il sole che c' è o non c' è. Il mistero tutto italiano ha invece a che fare con i diritti d' autore: in teoria dovrebbero essere scaduti da un pezzo, ma invece gli eredi di un tal Mazzucchi, morto a 94 anni, si sono fatti avanti in tribunale, e hanno vinto la causa qualche anno fa, a Torino, sostenendo che Mazzucchi aveva collaborato con l' autore Di Capua: ragion per cui il tribunale ha, eccezionalmente, protratto i diritti della canzone fino al 2042.
Dodò e Freddy, due italiani che hanno superato da poco la soglia dei quaranta anni, girano vari villaggi turistici africani come animatori e intrattenitori. Mentre Freddy continua a trovare in questa occupazione motivi di divertimento, Dodò comincia invece a sentire il peso di una vita che si rivela priva di autentici punti di riferimento. Un giorno il piccolo aereo con cui si stanno spostando verso un nuovo ingaggio di lavoro insieme a Soraya, una turista italiana, ha un'avaria e cade in pieno deserto. A aiutarli arriva inaspettato padre Luca, un missionario italiano in quei luoghi da molti anni e ormai anziano. Padre Luca si dirige verso il piccolo villaggio, dove i tre si vedono costretti a soggiornare. Gli evidenti disagi vengono sopportati con la prospettiva di andare via al più presto.
Ma quando appare evidente che l'attesa sarà più lunga del previsto, gli inattesi ospiti devono fare i conti con una vita quotidiana difficile e molto precaria. Padre Luca un giorno si ammala, colpito dalla malattia del sonno. Proprio poco dopo è annunciato l'arrivo del vescovo in visita alla missione: per evitare che, vedendo il sacerdote malato, la missione venga chiusa dal vescovo, Dodò si fa convincere a prenderne il posto e, vestito da prete, accoglie il porporato, lo porta in giro, fa un appassionato discorso sulla situazione di quelle zone africane, chiede l'invio di fondi, che però, dice il vescovo, sono bloccati per il Giubileo.
È un peccato che Giobbe Covatta, cabarettista e scrittore comico di successo, sia stato così poco impiegato al cinema. La sua recitazione dimessa, di animo profondamente napoletano, riserva più di una sorpresa e rivela, oltre a un'innata simpatia, anche un talento umoristico non comune. In MUZUNGU (la prima parola con cui viene identificato Giobbe dalla tribù locale e cioè “uomo bianco”) fa capolino tutto il suo amore per l'Africa, tanto che soggetto e sceneggiatura (alla quale ha collaborato anche Vincenzo Salemme) sono firmati soprattutto da lui, già autore in televisione di numerosi speciali sulla vita nel Continente Nero. L'arrivo di due animatori turistici (Giobbe e il simpatico Paolo Maria Veronica) e di una turista (Emanuela Grimalda) in un villaggio “vicino” (si fa per dire, sette giorni di auto!) a Nairobi mette in contatto due realtà completamente diverse (il benessere e la povertà) facendo scoprire ai tre malcapitati vittime di un incidente aereo un mondo nuovo, semplice e sincero. Che il film, è ovvio, tende a esaltare rispetto al consumismo e al cinismo dell'Occidente (rappresentato - nel finale - dal vescovo cui dà voce e corpo Flavio Bucci). È gente che merita il nostro aiuto, ci dice Covatta, e in fondo arrivano a capirlo anche i tre “turisti per caso”, stimolati da un sempre bravo Felice Andreasi, da anni già insediatosi nel villaggio per fare del bene. Al di là del bel messaggio (ampiamente scontato e ingenuo) c'è comunque un film in definitiva piacevole, diretto discretamente da Massimo Martella (che evita gli eccessi paesaggistici e folkloristici che ci saremmo attesi) e, pur all'interno di una sceneggiatura banale, recitato con naturalezza encomiabile. Una buona sorpresa, insomma, per chi si aspettava solo zucchero, panorami e commozione.
Preziosa prova, l'ennesima, per Mauro Di Domenico, straordinario chitarrista napoletano (figlio del grande tenore Lello Di Domenico). Il video e il cd raccolgono brani scritti dallo stesso Di Domenico e veri pezzi si storia (basti citare Gracias a la vida di Violeta Parra o Creuza de Ma di Fabrizio De André).
Molti anche gli ospiti presenti, tra questi gli Intillimani, Horacio Duran, Luis Sepùlveda, Mauro Pagani e Company Segundo
Narrare attraverso la musica, la parola e le immagini.
E’ da qui che parte il nuovo progetto di Mauro Di Domenico, eclettico musicista ed appassionato ricercatore di visioni parallele che uniscono tutte le diverse forme di arte.
Il progetto (CD e DVD su etichetta Loro di Napoli – Rai Trade) è un ponte virtuale tra Napoli e Santiago del Chile, un gioco tra passato e presente, una ricerca tra melodie che evocano un certo passato e il ritmo della contemporaneità, un viaggio che parte da Sud ed arriva a Sud. Il tutto impreziosito dalle partecipazioni inedite in video-proiezione di LUIS SEPULVEDA, COMPAY SEGUNDO, INTI-ILLIMANI, VIOLETA PARRA del Poeta PABLO NERUDA e la voce indimenticabile di FERRUCCIO AMENDOLA.
Ecco come Mauro Di Domenico presenta questo progetto-spettacolo:
…il progetto “NATI IN RIVA AL MONDO” è dedicato a Neruda. E’ stato Lui a guidarmi fino a Isla Negra con il suono delle sue parole, quella voglia di frugare tra le sue cose, conoscere il suo sentiero, la sua casa, condividere ciò che vedeva il suo sguardo sempre rivolto al mare… Il progetto è un annodare di sollecitazioni emotive e musicali, arte e spirito, cercando di non scivolare nella malinconia nel "come eravamo" o nella retorica di certi proclami. Il mondo è pieno di Pinochet. Il mio intento è stimolare sempre l’utilizzo della memoria affinché ognuno di noi possa riconoscere in tempo la comparsa del proprio Pinochet. L’arte,in questo caso, ha questo dovere morale, un conto sempre aperto con l’umanità. “Il Cile di oggi insieme a quello che ho vissuto tra i giovani cileni mi ha lasciato una forte impressione. Una realtà ancora in bilico tra mantenimento della memoria storica per non dimenticare e perdita della stessa per coltivare il sogno di una rinascita d'identità storica, civile, culturale. La realizzazione di questo progetto è sta resa possibile dalla preziosa collaborazione del Governo del Cile-’Ambasciata del Cile in Italia – e la Fundacion Pablo Neruda. http://www.maurodidomenico.com/concept-album/6-nati-in-riva-al-mondo.html
La storia di una diciannovenne napoletana, la Rossa, in un arco di tempo che va dalla primavera all'ultimo dell'anno. Muovendosi nei più infimi quartieri di Napoli, con una breve e sfortunata capatina sulla riviera romagnola, la protagonista precipita sotto la soglia dell'inferno quotidiano, nel quale annaspano la sua famiglia e gli amici, fino a trovare la morte in una spiaggia desolata, per mano di due killer, nella notte di San Silvestro.
" Un messico napoletano" è il titolo di un piccolo, ma denso romanzo di Peppe Lanzetta. E' la storia di Anna detta "la rossa" che vive a Scampia, un quartiere di Napoli, tristemente famoso. E' il racconto asciutto e sintetico di vite rovinate dalla droga, dalla sete di potere, e dall'illusione del denaro facile. Storie di ordinaria quotidianietà napoletana. Ma dal libro, quasi magicamente escono corposi e abbondanti i profumi di questa terra, contraddittori e forti, esasperati e indimenticabili. Una babilonia che ricorda le miserie umane, viscerali e intense. Anna è sola di fronte a questo surreale e concretissimo ingranaggio, e come, spesso succede qui, o fai finta di non vederlo e lo subisci , o la tua vita diventa un inferno. Tutto questo vede "...Castel dell'Ovo, imponente, con le sue fondamenta nell'acqua di sale, castello salato, ventilato, bagnato, pieno di ricordi, misteri, bugie, vendette, faide e gelosie...stava lì muto, cieco sordo, avvolto nel suo silenzio e nella sua pietra di tufo...." http://www.peppelanzetta.it/bibliografia-peppe-lanzetta/43-qun-messico-napoletanoq-feltrinelli-1994
Mastro Agostino Miciacio è un portiere e ciabattinonapoletano che venera un dipinto raffigurante un'immagine di San Giovanni Battista decollato. Agostino ha l'abitudine di parlare con l'immagine sacra e di tenere acceso un lumino a olio presso l'immagine stessa in segno di devozione. Ogni notte però l'olio sparisce.
La devozione del portiere è tale da spingerlo a fare anche dei festeggiamenti che per la loro rumorosità gli tirano addosso le ire dei vicini e della sua famiglia; viene processato e poi assolto per semi-infermità mentale.
Il guappo Don Peppino vorrebbe imporre ad Agostino le nozze fra la figlia Serafina e Orazio, un lampionaio suo protetto: ma Serafina rifiuta categoricamente e assieme al suo innamorato fugge dai nonni di lui nel paese di Montebello Siculo in Provincia di Messina. Li raggiungeranno Agostino con la moglie Concetta e durante le nozze dei due giovani Agostino scaccerà Don Peppino scoprendo che era proprio lui il ladro di olio del lumino di San Giovanni.
Tratto dal testo teatrale in dialetto siciliano San Giovanni decollatu di Nino Martoglio, andato in scena per la prima volta nel 1908, questa edizione sonora del San Giovanni decollato (di cui era già stata realizzata nel 1917 una versione muta che risulta perduta), fu prodotta da Liborio Capitani, che aveva basato molta della sua attività sull'attore siciliano Angelo Musco (interprete a suo tempo della versione muta), con cui aveva realizzato, dal 1932 al 1937, ben 7 pellicole, oltre a vincere la Coppa Mussolini alla Mostra di Venezia del 1934 con Teresa Confalonieri.
Di questo film molti hanno messo in particolare evidenza due scene: la prima, definita della "piattata", riguarda un'inquadratura molto lunga in cui viene ripresa una battaglia a colpi di piatti che, secondo,le cronache del tempo, sarebbe andata oltre le intenzioni della lavorazione coinvolgendo anche il personale, con oltre 1000 stoviglie rotte, ben 30.000 lire del tempo di costo, cumuli di cocci rimasti per giorni nel teatro di posa ed alcuni feriti tra cui la stessa Titina De Filippo
Una seconda scena molto nota, è quella, brevissima, in cui compare la figlia allora di 7 anni di Totò, Liliana De Curtis, nel ruolo di una bimba che va a ritirare un paio di scarpe riparate, alla quale il produttore Capitani regalò una bambola
La protagonista del romanzo, scritto come se fosse un diario dalla forma molto libera, è una giovane donna di nome Vibia Tirrena il cui padre possiede una libreria e un laboratorio di copisti nella città di Pompei.
All'età di 13 anni, come nella tradizione, Tirrena è stata congiunta in matrimonio con un uomo; rimasta quasi subito incinta, ha perduto il bambino e per il trauma non ha più voluto saperne del marito. Dopo il divorzio ha ottenuto di scegliersi da sé un secondo coniuge, e ha optato per un amico d'infanzia, il pittore Marco Epidio Fusco. I due vivono a casa del padre di Tirrena insieme a tre figli, nessuno dei quali è della donna: le gemelle Elianella e Gemina e il piccolo Epidiano.
Un giorno Tirrena incontra alle terme della signora Decidia Margaris una ricca patrizia proveniente da Roma, Rubria, venuta a trascorrere qualche tempo a Pompei. La accompagna nella bottega del padre per scegliere qualcosa da leggere e qui Rubria, che si sposta in una lettiga portata a braccia da quattro schiavi nubiani, incontra una sua conoscenza: il poeta Cesio Basso, forse il miglior cliente della libreria. Da quest'incontro si viene a sapere che Rubria è un'ex vestale, una delle sei vergini che tengono accesa la fiamma nel tempio di Vesta che dopo trent'anni di servizio nel Foro Romano ha dato le dimissioni e si è ritirata a vita privata.
Il marito che Tirrena si è scelta in seconde nozze è in realtà una copertura, dal momento che Fusco ha il "vizietto greco", cioè preferisce gli uomini, e ha una relazione con il socio Nigro, che la giovane donna chiama non senza ironia "il mio secondo marito". Quasi ogni giorno sui muri di casa compaiono scritte vandaliche che ironizzano all'omosessualità dei due.
Tirrena viene incaricata da sua zia Plotilla di organizzare una grandiosa festa, con l'intenzione di risollevare la città dalla depressione generale causata dal recente terremoto che ha danneggiato moltissimi edifici. Negli stessi giorni giunge a Pompei la notizia che Nerone imperatore ha concesso il titolo di Augusta alla moglie Poppea Sabina e alla figlia Claudia.
Tirrena si reca al Piccolo Teatro, una parte del quale è occupata dalla scuola di gladiatori che vi si è trasferita da un edificio danneggiato dal sisma. Qui ingaggia per la festa di zia Plotilla la compagnia di Azio Aniceto per un buon prezzo, quindi si reca a pranzo dalla signora Rubria che l'ha invitata. Rubria è ospitata a casa della cugina Quintilla, amicizia/inimicizia dell'adolescenza di Tirrena, la quale gode nel vederla poco considerata dalla parente famosa.
Rubria ha bisogno che la giovane la aiuti a risolvere uno spinoso "problema ginecologico", quello che oggi chiameremmo blocco psicologico nei confronti dell'atto sessuale. Se si considera che lo spasimante per il quale vuole essere disponibile è nientemeno che l'Imperatore, la faccenda si fa grave. A questo punto il manoscritto apocrifo si fa frammentario: si deduce che dopo diversi tentativi di proporre a Rubria dei maschi in grado di vincere il blocco, Tirrena riesca a convincere Aniceto a compiere il sacrificio, con la promessa che dopo questo dovere l'uomo potrà godere di lei. https://it.wikipedia.org
Carmen CovitoLe ragazze di Pompei pagine 144 euro 13 Barbera Editore, 2012 ISBN: 978-88-7899-509-3
Don Rafele 'o trumbone è una farsa tragi-comica napoletana in un atto scritta da Peppino De Filippo nel 1931.
Raffaele Chianese, compositore, maestro di trombone, vive in una casa-negozio di musica nella miseria più totale assieme alla moglie Amalia ed alla figlia Lisa: da due anni infatti è disoccupato, e tutto per il suo carattere visionario e refrattario a nuove visioni della vita che non siano le sue. Raffaele vive per la musica e non c'è verso di fargli cambiare idea: persino l'ultimo posto di lavoro offertogli dal suo migliore amico, il compare Giovanni, è stato da lui rifiutato. Quel giorno è un giorno importante: Raffaele deve andare a suonare ad un matrimonio nel pomeriggio, dopo un ennesimo insuccesso alla Federazione, dove gli hanno detto che non c'è lavoro per lui. Sembra andare tutto bene fino a quando non entra con fare minaccioso Nicola Belfiore, concertista e collega di Raffaele, che gli porta una cattiva notizia: lo sposo è morto per una paralisi cardiaca. Il concertista, che da tempo aveva il sospetto che Raffaele abbia qualche sorta di potere che lo porta a portare sfortuna a chiunque gli capiti a tiro, vuole smetterla di fare affari con il trombone e gli dice che da quel giorno ognuno se ne andrà per la propria strada. In quel momento, entra il compare Giovanni raggiante: ha trovato un'offerta di lavoro per Raffaele. Un'offerta veramente da prendere al volo: vigilante del personale nel lanificio di proprietà di un commendatore suo amico. Raffaele fa una smorfia: per lui, è un lavoro da "spione", come lui stesso definisce. Dopo che il compare gli ha spiegato in cosa consiste e le condizioni di stipendio, Raffaele ci pensa su: ha infatti in mente di andare, prendere lo stipendio d'anticipo che gli daranno al momento dell'assunzione e dileguarsi nel nulla. Al sentire questo, il compare se ne va. Prima però lo mette in guardia: se si farà sfuggire anche quest'occasione, lui non saprà più dove e a chi rivolgersi. Sembra che vada tutto per il meglio, quando ad un certo punto entrano in negozio alcune persone, molto ben vestite. Raffaele teme siano agenti delle imposte, ma subito il più ben vestito di loro dice di chiamarsi Alfredo Fioretti e di essere un compositore. Fioretti tenta Raffaele con delle proposte molto vantaggiose: da anni, infatti, egli è in Italia inoperoso e gli serve qualcuno che lo segua nei suoi concerti in giro per il mondo.
Personaggi
Raffaele Chianese
Amalia Chianese, sua moglie
Lisa Chianese, loro figlia
Nicola Belfiore, concertista e amico di Raffaele
Compare Giovanni, compare di Raffaele
Alfredo Fioretti
Luigi Fioretti
Attilio Gargiulo
Cupido scherza... e spazza - Peppino De Filippo
Cupido scherza e spazza è una farsa umoristica in un atto, rappresentata per la prima volta al teatro Kursaal di Napoli nel 1931. Racconta la storia di Vincenzo, uno spazzino premiato dal direttore della nettezza urbana per aver restituito una busta contenente molti soldi trovata per strada. La moglie Donna Stella, accetta la corte di Pascuttella, caporale dei netturbini e sua prima fiamma, mentre Rosina, la nipote non ricambia l'amore di Salvatore che trova troppo ignorante ed invadente. Il giovane, respinto, si vendica rivelando la tresca della moglie a Vincenzo. Pascuttella gli spiega che si tratta di un amore "plutonico", ma quando sta per convincerlo, entra in scena un suo vecchio creditore che lo picchia e lo minaccia con il martello. Vincenzo lo disarma e il creditore va via. Quando la gente del vicolo entra in casa, trova Vincenzo con il martello in mano e Pascuttella a terra malconcio. Farà quindi credere di averlo malmenato per aver insidiato la moglie, salvaguardando così il suo onore.
AMBIENTAZIONE: l'azione si svolge a Napoli nel 1930 in un basso, in uno dei tanti vicoli della città. In fondo, al centro, vi è la porta d'entrata da cui si vede la strada; a destra un tavolo con delle sedie e dei mobili, con una porta che funge da quinta laterale; a sinistra un cassettone sul quale è poggiata la statua della Madonna di Pompei.
PERSONAGGI: A proposito dei protagonisti di questo dramma Peppino è particolarmente meticoloso; infatti oltre a citare l'elenco dei personaggi, precisa per molti di loro anche l'età, quindi avremo: Vincenzo Esposito, spazzino di 45 anni; Salvatore, spazzino di 25 anni; Pascuttella, spazzino caporale di 50 anni; Donna Stella, moglie di Vincenzo di 40 anni; Rosina, nipote di Vincenzo di 20 anni; la "Diavola", soprannome della moglie di Pascuttella di 35 anni; Nicola La Croce, pugliese e spasimante di Rosina di 32 anni; infine Carmine e Gennarino altri due spazzini e Don Giovanni il cambiavalute. http://www.teatro.unisa.it
"Racconto moderno da un favola antica", così recita il sottotitolo di questa commedia, scritta da Eduardo negli anni tra il 1955 e il 1959. Protagonista è Pulcinella, la maschera che identifica il popolo napoletano tradizionalmente sfruttato dai potenti, disprezzato e asservito.
Il figlio di Pulcinella è una commedia scritta da Eduardo de Filippo nel 1957, inserita dall'autore nella raccolta Cantata dei giorni dispari. Pubblicata per la prima volta nel numero 170 di giugno 1960 della rivista teatrale "Sipario".
La divisione in tre atti è però solo della versione pubblicata: la prima, avvenuta al Teatro Quirino di Roma il 20 ottobre 1962, vide la commedia strutturata in due tempi e diciotto quadri.
Venne rimessa in scena nel 1968, con la regia di Gennaro Magliulo, dalla Compagnia del Teatro San Ferdinando e Luca De Filippo, sotto lo pseudonimo di Luca Della Porta, interpretò John. Nel 1998 fu ripresa da Geppy Gleijeses in coproduzione con lo Stabile di Palermo.
Personaggi
Alfredo, autista
Vincenzo, cameriere
Salvatore, amico di Vincenzo
Andrea Cornicione, oste
Renato Fuso, pittore
Nicola Sapore, affarista
Pulcinella, servo
Catarinella, lucertola
Barone Arrigo Carolis De Pecorellis Vofà Vofà
Cecilia, sua moglie
Mimmina, loro figlia
Annetta, cameriera
Nella commedia Pulcinella è ormai arrivato alla fine dei suoi giorni, stanco e abbandonato. L'unica a fargli compagnia è la lucertola Catarinella, che ai suoi occhi assume le sembianze di una ragazza. Vive in una capanna sulla terrazza della casa del suo padrone, il barone Vofà-Vofà. Una lunga didascalia descrive il suo apparire in scena:
«[...] il pavido servo inservibile, sguscia dal suo rifugio come una lumaca. E così, carponi come si trova, mezzo fuori e mezzo dentro, reclina il capo prima verso destra, fissando il pubblico, con uno sguardo ambiguo e sornione, poi verso sinistra per osservare, con accorato senso di nostalgia, il panorama di Napoli. Le sembianze dell'illustre "Acerretano" oltre ad essere mutate dall'ultima volta che il suo nome figurò sui cartelloni del San Carlino, [...] presentano altresì certi segni caratteristici insoliti che suscitano in chi li osservi da critico e da cultore delle tradizioni, un vivo senso di sgomento e commozione insieme. [...]».
Appare invecchiato, con i capelli lunghi e canuti che fuoriescono dal tradizionale e malconcio "pan di zucchero", la casacca ridotta ad un cencio. Il suo padrone ha intenzione di presentarsi alle elezioni e, per guadagnarsi il consenso popolare pensa di ricorrere al suo vecchio servo, ben sapendo che con poche lusinghe può sfruttarlo per i suoi scopi. Allo stesso modo però anche altri cercheranno di blandire Pulcinella ed il popolo che lui rappresenta. La maschera è disposta a farsi strumentalizzare ed a vendersi al migliore offerente firmando le tessere di tutti i partiti, pur di riuscire a sopravvivere.
Agostino Abbagnale (Pompei, 25 agosto 1966) è un ex canottiere italiano. È fratello di Carmine e di Giuseppe.
Vinse la prima medaglia ai campionati del mondo 1985, giungendo secondo nella specialità dell'otto con.
Alle Olimpiadi del 1988, a Seoul, conquistò la medaglia d'oro sul 4 di coppia azzurro (con Gianluca Farina, Piero Poli e Davide Tizzano), pochi minuti dopo che i suoi due fratelli Carmine e Giuseppe ebbero la meglio nella gara del due con.
Fu costretto a uno stop forzato di cinque anni.
Saltò le Olimpiadi del 1992 e tornò a gareggiare ai mondiali nel 1995, giungendo tredicesimo in 2 di coppia. Sempre in 2 di coppia, l'anno successivo, gareggiò alle Olimpiadi di Atlanta vincendo la medaglia d'oro con Davide Tizzano.
Nel 1997 e nel 1998 vinse la medaglia d'oro ai campionati del mondo nella specialità del 4 di coppia, mentre nel 1999 giunse settimo. Alle Olimpiadi del 2000, nella specialità del 4 di coppia, assieme a Rossano Galtarossa, Alessio Sartori e Simone Raineri conquistò di nuovo la medaglia d'oro.
Vinse ancora una medaglia d'argento ai mondiali del 2002 in 2 di coppia.
Nel 2006 è stato insignito dalla FISA della Medaglia Thomas Keller, la più alta onorificenza nel mondo del canottaggio.
E' un incantesimo strano, che la colpisce da sempre
mentre il duemila, non è più tanto lontano
È arrivato un bastimento è l'ottavo album di Edoardo Bennato, pubblicato nel 1983 dalla Dischi Ricordi.
Ed il buon senso sparso di qua e di la
e l'Araba Fenice, chi la ritroverà
ed i profeti mitici, giganti del pensiero
sarà falso, sarà vero!...
Il disco esce, su iniziativa di Bennato composto da un long playing di taglio tradizionale e da un maxi singolo, sempre a 33 giri, tra i quali era suddivisa, a incastri, la sequenza dei pezzi
Tra i musicisti sono da segnalare Luciano Ninzatti (ideatore di alcuni progetti di italo-disco tra cui Kano), fondamentale per tutta la produzione di Bennato negli anni a seguire, e Roberto Colombo, già mentore dei Matia Bazar e di Alberto Camerini.
Circa un anno dopo la pubblicazione del disco è uscito un libro omonimo complementare, per la Mondadori, con fumetti e nuove illustrazioni (dello stesso Bennato), e con testi e partiture dei dodici brani.
I testi e le musiche del disco sono dello stesso Bennato, tranne Sarà falso, sarà vero, il cui testo è del fratello Eugenio.
Anche gli arrangiamenti (non accreditati) sono di Bennato, con le eccezioni di Specchio delle mie brame, arrangiata da Roberto Colombo, e Troppo, troppo! arrangiata per orchestra sinfonica da Antonio Sinagra e cantata dal baritono Orazio Mori (che aveva già collaborato con Bennato in Sono solo canzonette).
Un milione
Un milione di monete? ah ah!
non ti sembra esagerato?
non ti sembra, non ti sembra esagerato?
Un milione potrei darlo a un dottore,
a un avvocato a un ministro, a uno scienziato
non a un tipo come te non a un tipo come te!