Vetrina Vesuvio

lunedì 17 febbraio 2020

Salvatore Argenziano
 - 'A Lenga Turrese

Salvatore Argenziano
 'A Lenga Turrese.

 (cm 20 x 14); pp. 160.

Torre del Greco (NA), Nunzio Russo Editore, 2004

 SALVATORE ARGENZIANO
torrese da Bologna
è nato a Torre del Greco, abbasciammare, nel 1933. Ha frequentato le Medie ncoppacristoforocolombo, il Ginnasio aretutriato e il Liceo Classico Gaetano De Bottis, ammiezatorre. A Torre è rimasto fino al 1960 quando, laureato in ingegneria, è partito per Milano. Ha avuto amici torresi a centinaia. Si me putesse vennere l'amici, sarria miliardario. Ha svolto la professione a Milano, Cagliari, Bologna e Genova. Attualmente ha ridotto al minimo l'attività professionale e si diverte a scrivere stroppole sulla Lenga Turrese. Vive a Bologna con la moglie torrese, Gianna De Filippis, sposata nel 1962. Ha un figlio e due nipotine, di tredici e di tre anni che però, peggio pe lloro, non conoscono il torrese. La foto è di Giugno 2001, quando è nata la piccola.
Lingua originale torrese
Tore Argenziano
è nato â Torre, abbasciammare, quann'era u 1933. È ghiuto â scola media ncoppacristo- forocolombo, û ginnasio aretutriato e û liceo ammiezatorre. Â Torre è rummasto nfi' û 1960, quanno, pigliatase a laurea 'i ngignere, partette pe Milano. Teneva cumpagni turrisi a centenara. "Si me putesse vennere l'amici, sarria miliardario". Ha faticato a Milano, Cagliari, Bologna e Genova. Mo fatica quanto meno po' e se sfizea a scrivere stroppole ncopp'a lenga turrese. Sta 'i casa a Bologna c'a mugliera, Gianna De Filippis, che ha pigliato û 1962. Tene nu figlio e doje niputelle, una 'i tririci e nata 'i tre anni ca però, peggio pe lloro, nun canoscono u tturrese. http://www.torreomnia.it
 La lingua napoletana si è formata lungo i secoli per un complesso gioco di influenze, assorbimenti, stratificazioni. Da quando Parthenope e poi Neapolis assunsero una posizione importante nell’arco del Golfo, i processi di formazione linguistica si misero in moto. Alla lingua dei fondatori arrivarono i molteplici contributi delle parlate esistenti nei casali e nei borghi vicini.
Non solo, ma col tempo e lo sviluppo dei commerci, sul tronco originario si innestarono anche le venature provenienti da più lontano, dall’Abruzzo o dalla Puglia, per esempio.
Dalle lingue che si incrociavano, nasceva il ‘napoletano’. Ma l’assorbimento di fonemi, espressioni, modi di dire, pronunce e costruzioni sintattiche se da un lato consolidava il ‘corpus’ del linguaggio partenopeo, dall’altro non snaturava -se non nei limiti di uno sviluppo naturale- le lingue e le parlate che contribuivano al ‘parlar napoletano’. Ogni centro abitato, borgo, casale, villaggio, conservava la sua identità, frutto a sua volta di altri complessi meccanismi di fusione. Una storia affascinante.
Al centro del Golfo, Torre del Greco partecipava a questa avventura di civiltà linguistica, comportandosi allo stesso modo di una spugna pescata nel mar Mediterraneo. Prendeva e riversava le sue peculiarità fonetiche e grammaticali, conservando intatto il nucleo originario della propria specificità. Un moto oscillatorio durato per secoli e che, come le onde marine, ha lasciato a riva un gran patrimonio culturale che va salvaguardato, nell’epoca di troppo disinvolte globalizzazioni.
Va perciò salutato e apprezzato l’impegno di chi - sia pure dicendo che lo fa per il solo, legittimo e gioioso desiderio di entrare in un campo così appassionante- consente di catalogare e conservare parole, frasi, modi di comunicare, verbi e toponimi che appartengono alla storia di una terra segnata da tante vicende significative e dense di operosa umanità. Tanto più che questo libro sembra poter assumere i caratteri di una ‘prima pietra’ molto importante nella ricognizione storica e linguistica del territorio tra il Vesuvio e il mare. Perchè le felici ricerche dell’autore, spiegate con una semplicità che non sacrifica la profondità dello scavo, spingono a farsi domande e a porsi interrogativi.
La parlata torrese fu influenzata in sommo grado dall’antica lingua greca e latina. Ma quale fu - e certo ci fu - il ruolo della lingua Osca, tanto misteriosa quanto presente sul territorio della Campania in epoca pre-romana? Era osca Pompei, e i pompeiani conservarono l’influsso della vecchia lingua anche in epoca imperiale. E quale fu l’impatto di quel ‘modo’ di parlare sulle cadenze proprie del linguaggio torrese, arrivate fino ai nostri giorni? In latino, per esempio, ‘imperatore’ si diceva ‘imperator’. Ma in lingua osca si pronunciava ‘M’brador’... Cioè quasi nello stesso modo in cui lo si potrebbe dire oggi, all’ombra del vulcano...
E in quale misura, poi, questa tipologia di pronuncia si trasferì nella città-guida sul territorio, cioè Neapolis? E’ storicamente accertato che in epoche successive, dopo alcune pestilenze, la popolazione della Capitale del regno fu rimpolpata chiamando dai vicini Casali molti abitanti. Anche da Torre del Greco. E poi, l’influenza araba, riscontrabile perfettamente ancor oggi in alcuni quartieri storici, e dovuta anche allo stanziamento di truppe saracene. Si diceva: “Tre so’ li poste della Saracina: ‘a Torre, Cremano e Resina...’’
Ecco dove ci può portare la lettura di questo bel libro. 
Ed è un altro suo pregio.
Mimmo Liguoro
 

sabato 15 febbraio 2020

Salvatore Di Giacomo #1860VentiVenti. Assunta Spina

Assunta Spina è un dramma scritto da Salvatore Di Giacomo e tratto dall'omonima novella pubblicata nel 1888, successivamente portato sullo schermo, prima nel 1915 (come film muto con Francesca Bertini e Gustavo Serena), 
poi nel 1948 sceneggiato da Eduardo De Filippo
con Anna Magnani nel ruolo della protagonista.
L'opera, ambientata nella Napoli di inizio '900 (è stata scritta nel 1909), narra la storia di Assunta Spina, una ragazza proprietaria di una stireria ed il cui fascino attira l'attenzione di diversi uomini. Assunta ha una relazione con Michele Boccadifuoco che, per gelosia e possessione, la sfregia e viene processato. Assunta cerca di negare l'accaduto, ma è lo stesso Michele a confessare; viene condannato a due anni di galera e per Assunta sarà difficile rivederlo in questo periodo di tempo, anche perché non viene mandato al carcere di Napoli ma a quello di Avellino. A questo punto interviene Federico Funelli, il cancelliere, che può fare in modo che la destinazione resti Napoli. Assunta capisce, però, che in cambio Funelli vuole il suo corpo e così decide di concedersi per poter vedere due volte al mese Michele. Da chiarire è, però, il rapporto che c'è tra Assunta e Michele: non c'è amore, ma solo una relazione, per quanto passionale, che Assunta non vede come vincolante. Mentre Michele è in carcere, tra Assunta e Funelli nasce una relazione, senza che la prima però sappia che il secondo ha una famiglia. Col tempo il rapporto si logora e Funelli si allontana progressivamente, fino a non farsi più sentire. Una sera Assunta dà un ultimatum a Funelli e lo costringe ad andare da lei per parlare; nel frattempo, però, all'insaputa di tutti, Michele è stato scarcerato in anticipo e si reca da Assunta per farle una sorpresa. Quest'ultima, vedendolo, decide di confessare tutto e di dire a Michele della sua relazione con Funelli. Nonostante la sua disperazione all'idea di dover tornare in carcere per colpa di Assunta, Michele si arrende al suo orgoglio e, preso un coltello, esce in strada ed uccide Federico Funelli. All'arrivo delle guardie, però, Assunta decide di prendersi la colpa di tutto salvando così Michele. Salvatore Di Giacomo #1860#VentiVenti
Assunta Spina
Curatore: A. Bisicchia
EAN: 9788842591344
Assunta Spina è un film del 1915 ed è considerato uno dei film di maggiore successo del cinema muto italiano. Fuori dall'Italia è conosciuto anche con il titolo di Sangue Napolitano.
Risultato immagini per Assunta Spina (film 1915)
Francesca Bertini, che aveva già recitato in teatro nel dramma di Salvatore Di Giacomo in una parte secondaria, indossa i panni della protagonista e interviene con una certa frequenza nella messa in scena, sì da essere considerata co-regista della pellicola. A testimoniarne il ruolo è lo stesso Gustavo Serena:
«E chi poteva fermarla? La Bertini era così esaltata dal fatto di interpretare la parte di Assunta Spina, che era diventata un vulcano di idee, di iniziative, di suggerimenti. In perfetto dialetto napoletano, organizzava, comandava, spostava le comparse, il punto di vista, l'angolazione della macchina da presa; e se non era convinta di una certa scena, pretendeva di rifarla secondo le sue vedute.»
Il film è stato girato a Nisida, Bagnoli, Coroglio e nell'isola di Procida.
Il film è stato restaurato dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con il Museo nazionale del cinema di Torino, questa edizione restaurata è disponibile in dvd dal 2015 come parte della collana "Cinemalibero" della Cineteca di Bologna
Assunta Spina è un film del 1948, diretto dal regista Mario Mattoli, sceneggiato da Eduardo De Filippo (che curò particolarmente i dialoghi) e Gino Capriolo sulla base del lavoro teatrale omonimo di Salvatore Di Giacomo.
Assunta Spina (film 1948).png
La prima del film si ebbe l'11 marzo 1948.
Nella pellicola esordisce Giacomo Furia.

domenica 2 febbraio 2020

#1950VentiVenti I dieci comandamenti Raffaele Viviani

I dieci comandamenti
Editore: Guida
Collana: Teatro
Anno edizione: 2000
In commercio dal: 1 novembre 2000
Pagine: 160 p.
EAN: 9788871884530
Risultato immagini per Raffaele Viviani, Dieci comandamenti"
"Il testo è dominato dalla fame: attraverso il teatro Napoli esprime spudoratamente il suo stato di capitale di sud del mondo. Il coro de "I dieci comandamenti" si aggira in una città sofferente interrogandosi attonito sul dio che lo colpisce così duramente: questo popolo, fratello di tanti popoli sofferenti, vivo più che mai intorno a noi, ci insegna a aprire gli occhi, guardare in faccia il dolore e trasformare il dolore in energia." (Mario Martone)
Raffaele Viviani, all'anagrafe Raffaele Viviano (Castellammare di Stabia, 10 gennaio 1888Napoli, 22 marzo 1950), è stato un attore, commediografo, compositore, poeta e traduttore italiano.
Daniele Sepe apre l'inedita commedia musicale "I Dieci Comandamenti" di Raffaele Viviani, un vero e propio inno contro la guerra e l'ingiustizia sociale, un testo scritto nel dopo guerra, ma tragicamente attuale. Regia di Mario Martone. 
So' 'e putiente, malamente, ca cchiù 'a vorza hann'a 'ngrassa', senz'ave' pietà! 'O prugresso? More 'o fesso! Jh che bella civiltà! Che mudernità!
Raffaele Viviani, il cantore di quel mondo sottoproletario - legato più ai bassi e al porto che non ai borghesi appartamenti eduardiani, animato da una lingua aspra, incomprensibile eppure vivissima - comincia a scrivere il testo nel 1944. Poi, passata la guerra, quest'opera vede un'edizione definitiva. Viviani, sessantenne, amareggiato, da tempo lontano dalle scene, guarda con un sorriso di profonda compassione a quei derelitti che ogni giorno si arrabattano per sopravvivere, e li mette a confronto con la dottrina - con i dieci comandamenti appunto - leggi morali che stridono nel loro assolutismo di fronte alla complessità del reale. La narrazione procede per quadri, come quello dei due aspiranti ladri che non rubano solo perché la vittima non ha nulla da farsi rubare, e anzi riceveranno la solidarietà del malcapitato, che offre loro di condividere un piatto di maccheroni. E non si uccide, in quella Napoli, perché dopo gli orrori e il sangue della guerra non c'è più spazio per altro dolore, per altra violenza...
(Andrea Porcheddu, da Del Teatro)