Vetrina Vesuvio

lunedì 30 marzo 2020

Don Rafele 'o trumbone - Cupido scherza... e spazza: Peppino De Filippo

Don Rafele 'o trumbone è una farsa tragi-comica napoletana in un atto scritta da Peppino De Filippo nel 1931.
Raffaele Chianese, compositore, maestro di trombone, vive in una casa-negozio di musica nella miseria più totale assieme alla moglie Amalia ed alla figlia Lisa: da due anni infatti è disoccupato, e tutto per il suo carattere visionario e refrattario a nuove visioni della vita che non siano le sue. Raffaele vive per la musica e non c'è verso di fargli cambiare idea: persino l'ultimo posto di lavoro offertogli dal suo migliore amico, il compare Giovanni, è stato da lui rifiutato. Quel giorno è un giorno importante: Raffaele deve andare a suonare ad un matrimonio nel pomeriggio, dopo un ennesimo insuccesso alla Federazione, dove gli hanno detto che non c'è lavoro per lui. Sembra andare tutto bene fino a quando non entra con fare minaccioso Nicola Belfiore, concertista e collega di Raffaele, che gli porta una cattiva notizia: lo sposo è morto per una paralisi cardiaca. Il concertista, che da tempo aveva il sospetto che Raffaele abbia qualche sorta di potere che lo porta a portare sfortuna a chiunque gli capiti a tiro, vuole smetterla di fare affari con il trombone e gli dice che da quel giorno ognuno se ne andrà per la propria strada. In quel momento, entra il compare Giovanni raggiante: ha trovato un'offerta di lavoro per Raffaele. Un'offerta veramente da prendere al volo: vigilante del personale nel lanificio di proprietà di un commendatore suo amico. Raffaele fa una smorfia: per lui, è un lavoro da "spione", come lui stesso definisce. Dopo che il compare gli ha spiegato in cosa consiste e le condizioni di stipendio, Raffaele ci pensa su: ha infatti in mente di andare, prendere lo stipendio d'anticipo che gli daranno al momento dell'assunzione e dileguarsi nel nulla. Al sentire questo, il compare se ne va. Prima però lo mette in guardia: se si farà sfuggire anche quest'occasione, lui non saprà più dove e a chi rivolgersi. Sembra che vada tutto per il meglio, quando ad un certo punto entrano in negozio alcune persone, molto ben vestite. Raffaele teme siano agenti delle imposte, ma subito il più ben vestito di loro dice di chiamarsi Alfredo Fioretti e di essere un compositore. Fioretti tenta Raffaele con delle proposte molto vantaggiose: da anni, infatti, egli è in Italia inoperoso e gli serve qualcuno che lo segua nei suoi concerti in giro per il mondo.
Personaggi
Raffaele Chianese
Amalia Chianese, sua moglie
Lisa Chianese, loro figlia
Nicola Belfiore, concertista e amico di Raffaele
Compare Giovanni, compare di Raffaele
Alfredo Fioretti
Luigi Fioretti
Attilio Gargiulo
Cupido scherza... e spazza - Peppino De Filippo
Cupido scherza e spazza è una farsa umoristica in un atto, rappresentata per la prima volta al teatro Kursaal di Napoli nel 1931. Racconta la storia di Vincenzo, uno spazzino premiato dal direttore della nettezza urbana per aver restituito una busta contenente molti soldi trovata per strada. La moglie Donna Stella, accetta la corte di Pascuttella, caporale dei netturbini e sua prima fiamma, mentre Rosina, la nipote non ricambia l'amore di Salvatore che trova troppo ignorante ed invadente. Il giovane, respinto, si vendica rivelando la tresca della moglie a Vincenzo. Pascuttella gli spiega che si tratta di un amore "plutonico", ma quando sta per convincerlo, entra in scena un suo vecchio creditore che lo picchia e lo minaccia con il martello. Vincenzo lo disarma e il creditore va via. Quando la gente del vicolo entra in casa, trova Vincenzo con il martello in mano e Pascuttella a terra malconcio. Farà quindi credere di averlo malmenato per aver insidiato la moglie, salvaguardando così il suo onore.
AMBIENTAZIONE: l'azione si svolge a Napoli nel 1930 in un basso, in uno dei tanti vicoli della città. In fondo, al centro, vi è la porta d'entrata da cui si vede la strada; a destra un tavolo con delle sedie e dei mobili, con una porta che funge da quinta laterale; a sinistra un cassettone sul quale è poggiata la statua della Madonna di Pompei.
PERSONAGGI: A proposito dei protagonisti di questo dramma Peppino è particolarmente meticoloso; infatti oltre a citare l'elenco dei personaggi, precisa per molti di loro anche l'età, quindi avremo: Vincenzo Esposito, spazzino di 45 anni; Salvatore, spazzino di 25 anni; Pascuttella, spazzino caporale di 50 anni; Donna Stella, moglie di Vincenzo di 40 anni; Rosina, nipote di Vincenzo di 20 anni; la "Diavola", soprannome della moglie di Pascuttella di 35 anni; Nicola La Croce, pugliese e spasimante di Rosina di 32 anni; infine Carmine e Gennarino altri due spazzini e Don Giovanni il cambiavalute. http://www.teatro.unisa.it

giovedì 26 marzo 2020

Il figlio di Pulcinella - Eduardo de Filippo

"Racconto moderno da un favola antica", così recita il sottotitolo di questa commedia, scritta da Eduardo negli anni tra il 1955 e il 1959. Protagonista è Pulcinella, la maschera che identifica il popolo napoletano tradizionalmente sfruttato dai potenti, disprezzato e asservito.
Il figlio di Pulcinella è una commedia scritta da Eduardo de Filippo nel 1957, inserita dall'autore nella raccolta Cantata dei giorni dispari. Pubblicata per la prima volta nel numero 170 di giugno 1960 della rivista teatrale "Sipario".
La divisione in tre atti è però solo della versione pubblicata: la prima, avvenuta al Teatro Quirino di Roma il 20 ottobre 1962, vide la commedia strutturata in due tempi e diciotto quadri.
Venne rimessa in scena nel 1968, con la regia di Gennaro Magliulo, dalla Compagnia del Teatro San Ferdinando e Luca De Filippo, sotto lo pseudonimo di Luca Della Porta, interpretò John. Nel 1998 fu ripresa da Geppy Gleijeses in coproduzione con lo Stabile di Palermo.
Personaggi
Alfredo, autista
Vincenzo, cameriere
Salvatore, amico di Vincenzo
Andrea Cornicione, oste
Renato Fuso, pittore
Nicola Sapore, affarista
Pulcinella, servo
Catarinella, lucertola
Barone Arrigo Carolis De Pecorellis Vofà Vofà
Cecilia, sua moglie
Mimmina, loro figlia
Annetta, cameriera
Nella commedia Pulcinella è ormai arrivato alla fine dei suoi giorni, stanco e abbandonato. L'unica a fargli compagnia è la lucertola Catarinella, che ai suoi occhi assume le sembianze di una ragazza. Vive in una capanna sulla terrazza della casa del suo padrone, il barone Vofà-Vofà. Una lunga didascalia descrive il suo apparire in scena:
«[...] il pavido servo inservibile, sguscia dal suo rifugio come una lumaca. E così, carponi come si trova, mezzo fuori e mezzo dentro, reclina il capo prima verso destra, fissando il pubblico, con uno sguardo ambiguo e sornione, poi verso sinistra per osservare, con accorato senso di nostalgia, il panorama di Napoli. Le sembianze dell'illustre "Acerretano" oltre ad essere mutate dall'ultima volta che il suo nome figurò sui cartelloni del San Carlino, [...] presentano altresì certi segni caratteristici insoliti che suscitano in chi li osservi da critico e da cultore delle tradizioni, un vivo senso di sgomento e commozione insieme. [...]».
Appare invecchiato, con i capelli lunghi e canuti che fuoriescono dal tradizionale e malconcio "pan di zucchero", la casacca ridotta ad un cencio. Il suo padrone ha intenzione di presentarsi alle elezioni e, per guadagnarsi il consenso popolare pensa di ricorrere al suo vecchio servo, ben sapendo che con poche lusinghe può sfruttarlo per i suoi scopi. Allo stesso modo però anche altri cercheranno di blandire Pulcinella ed il popolo che lui rappresenta. La maschera è disposta a farsi strumentalizzare ed a vendersi al migliore offerente firmando le tessere di tutti i partiti, pur di riuscire a sopravvivere.
Copertina del libro Il figlio di Pulcinella di Eduardo De Filippo
Il figlio di Pulcinella
1979
Collezione di teatro
pp. 121
ISBN 9788806138622

sabato 21 marzo 2020

#RipercorrendoInsieme: Agostino Abbagnale

Agostino Abbagnale (Pompei, 25 agosto 1966) è un ex canottiere italiano. È fratello di Carmine e di Giuseppe.
Vinse la prima medaglia ai campionati del mondo 1985, giungendo secondo nella specialità dell'otto con.
Alle Olimpiadi del 1988, a Seoul, conquistò la medaglia d'oro sul 4 di coppia azzurro (con Gianluca Farina, Piero Poli e Davide Tizzano), pochi minuti dopo che i suoi due fratelli Carmine e Giuseppe ebbero la meglio nella gara del due con.
Fu costretto a uno stop forzato di cinque anni. 
Saltò le Olimpiadi del 1992 e tornò a gareggiare ai mondiali nel 1995, giungendo tredicesimo in 2 di coppia. Sempre in 2 di coppia, l'anno successivo, gareggiò alle Olimpiadi di Atlanta vincendo la medaglia d'oro con Davide Tizzano.
Nel 1997 e nel 1998 vinse la medaglia d'oro ai campionati del mondo nella specialità del 4 di coppia, mentre nel 1999 giunse settimo. Alle Olimpiadi del 2000, nella specialità del 4 di coppia, assieme a Rossano Galtarossa, Alessio Sartori e Simone Raineri conquistò di nuovo la medaglia d'oro. 
Vinse ancora una medaglia d'argento ai mondiali del 2002 in 2 di coppia.
Nel 2006 è stato insignito dalla FISA della Medaglia Thomas Keller, la più alta onorificenza nel mondo del canottaggio.
Olimpiadi
Seoul 1988: oro nel 4 di coppia.
Atlanta 1996: oro nel 2 di coppia.
Sydney 2000: oro nel 4 di coppia.

martedì 17 marzo 2020

#RipercorrendoInsieme: È arrivato un bastimento - Edoardo Bennato


Andare sola, per la città
mi sembra un fatto normale
ma una ragazza
chissà perché
questo non lo può fare

Andare sola per la città
e non c'è niente di male
ma una ragazza
chissà perché
questo non lo può fare

E' un incantesimo strano, che la colpisce da sempre
mentre il duemila, non è più tanto lontano

È arrivato un bastimento è l'ottavo album di Edoardo Bennato, pubblicato nel 1983 dalla Dischi Ricordi.
Ed il buon senso sparso di qua e di la e l'Araba Fenice, chi la ritroverà ed i profeti mitici, giganti del pensiero sarà falso, sarà vero!...
Il disco esce, su iniziativa di Bennato composto da un long playing di taglio tradizionale e da un maxi singolo, sempre a 33 giri, tra i quali era suddivisa, a incastri, la sequenza dei pezzi
Tra i musicisti sono da segnalare Luciano Ninzatti (ideatore di alcuni progetti di italo-disco tra cui Kano), fondamentale per tutta la produzione di Bennato negli anni a seguire, e Roberto Colombo, già mentore dei Matia Bazar e di Alberto Camerini.
Circa un anno dopo la pubblicazione del disco è uscito un libro omonimo complementare, per la Mondadori, con fumetti e nuove illustrazioni (dello stesso Bennato), e con testi e partiture dei dodici brani.
E' arrivato un bastimento - Edoardo Bennato - copertina
Editore: Mondadori
Anno edizione: 1984
Pagine: 70 p.
I testi e le musiche del disco sono dello stesso Bennato, tranne Sarà falso, sarà vero, il cui testo è del fratello Eugenio.
Anche gli arrangiamenti (non accreditati) sono di Bennato, con le eccezioni di Specchio delle mie brame, arrangiata da Roberto Colombo, e Troppo, troppo! arrangiata per orchestra sinfonica da Antonio Sinagra e cantata dal baritono Orazio Mori (che aveva già collaborato con Bennato in Sono solo canzonette).
Un milione Un milione di monete? ah ah! non ti sembra esagerato? non ti sembra, non ti sembra esagerato? Un milione potrei darlo a un dottore, a un avvocato a un ministro, a uno scienziato non a un tipo come te non a un tipo come te! 

Edoardo Bennato - Troppo, Troppo!
VIDEO:
Edoardo Bennato - Una Ragazza

giovedì 12 marzo 2020

"Quanno spónta 'a luna à Marechiare, pure li pisce nce fanno a ll'ammóre…"

Napoli - Marechiaro3.jpg
«Quanno spónta 'a luna à Marechiare, 
pure li pisce nce fanno a ll'ammóre…»
(Salvatore Di Giacomo, Marechiare)
Napoli - Marechiaro.jpg
Marechiaro è un piccolo borgo che si trova nel quartiere Posillipo a Napoli.
Anticamente il borgo, sviluppato intorno a via Marechiaro, prendeva il nome dalla chiesa di Santa Maria del Faro. Il nome Marechiaro non viene, come comunemente si pensa, dalla trasparenza delle acque del mare di Posillipo, ma dalla loro quiete. Già in alcuni documenti del Regno di Sicilia si parla di mare planum tradotto in napoletano mare chianu da cui l'odierno Marechiaro. 
È stato negli anni 1960 uno dei simboli della dolce vita in Italia, diventando famoso per le sue frequentazioni hollywoodiane, per i suoi ristoranti tipici che affacciano sullo splendido panorama del golfo e per il caratteristico "Scoglione".
Borgo di Marechiaro
Da Marechiaro inoltre si può ammirare la vista panoramica dell'intera città di Napoli, del Vesuvio, fino ad arrivare alla penisola sorrentina e all'isola di Capri che compare esattamente di fronte alla tipica spiaggetta del borgo.
Il particolare che più ha contribuito alla mitizzazione di questo borghetto è la cosiddetta Fenestella (in italiano finestrella). La leggenda narra che il poeta e scrittore napoletano Salvatore Di Giacomo, vedendo una piccola finestra sul cui davanzale c'era un garofano, ebbe l'ispirazione per quella che è una delle più celebri canzoni napoletane: Marechiare. fonte: https://it.wikipedia.org
Marechiaro.jpg
La giornata era raggiante, piena di riso e di gaiezza: il mare e quella pace, deliziosa in tanta solitudine e in così profondo silenzio, sommovevano tutto un flutto d'idee. Lo spirito s'indugiava a rincorrerle tra le mille voluttà d'un quasi addormentamento. Come da un secreto recesso dal cavo ombroso delle rocce che ci accoglieva contemplavamo l'uguale immensità dell'acqua, la sua sterminata superficie che, lontano lontano, a perdita di vista, raggiungeva l'arco del cielo. Una larga chiazza più azzurrina, quasi bluastra, tingeva l'acque, laggiù, sotto Capri. E vagamente appariva, con disegno quasi impreciso, l'isola tiberiana. Tutto il lontano era in una pace solenne, nell'immobilità d'uno scenario. (Salvatore Di Giacomo)

mercoledì 11 marzo 2020

Borgo Santa Lucia, storico rione di Napoli.

Borgo Santa Lucia (o, più semplicemente, Santa Lucia) è uno storico rione di Napoli. Esso sorge nel quartiere San Ferdinando, attorno all'omonima via che prende il nome dal santuario parrocchiale di Santa Lucia a Mare, la cui presenza è attestata sul litorale fin dal IX secolo, sebbene la leggenda la voglia fondata da una nipote di Costantino. I suoi abitanti sono chiamati lucìani.
La storia di Santa Lucia si identifica con la storia di Napoli. Parthènope fu fondata sul Monte Echia dai Cumani nell'VIII secolo a.C.
In epoca romana preimperiale, qui vi si sarebbe trasferito il generale romano Lucio Licinio Lucullo, che avrebbe innalzato la sua imponente e sfarzosa villa, conosciuta come Oppidum Lucullianum, dove poi avrebbe terminato i suoi giorni l'ultimo imperatore romano Romolo Augusto.
In epoca imperiale la zona sarebbe divenuta celebre per essere vicina alle grotte platamonie, ove si tenevano riti magici e nelle quali si ritiene siano ambientati alcuni passi del Satyricon di Petronio Arbitro, mentre in epoca medievale decadde profondamente e la villa di Licinio Lucullo venne riconvertita in monastero dai basiliani che, in epoca ducale, presero a gestire la chiesa.
I viceré spagnoli, fra il '600 ed il '700, tennero in particolare considerazione il luogo, decidendo di abbellirlo con numerosi interventi, fra i quali il più importante fu quello affidato nel 1599 dal viceré Enrico di Gusman conte di Olivares a Domenico Fontana il quale con la sistemazione della vecchia rua dei Provenzali, che venne rettificata e chiamata strada Gusmana per l'azione del viceré, trasformò un borgo di pescatori e commercianti in uno dei siti più prestigiosi dell'epoca. Con l'arrivo dei Borbone a Napoli, i lucìani divennero intimi dei re, che se ne servirono come artigiani e fornitori della real casa (famoso, in proposito, l'aneddoto dell'ostricaro fisico).
La fontana di Santa Lucia è una delle fontane monumentali di Napoli ed è situata nella Villa Comunale (già Villa Reale).
È una fontana tipicamente manierista, progettata dall'ingegnere Alessandro Ciminiello e costruita nel 1606 da Michelangelo Naccherino e Tommaso Montani con la collaborazione di Girolamo D'Auria e Vitale Finelli per volere del viceré Giovanni Alfonso Pimentel d'Errera duca di Benavente. Essa in origine era collocata sul lungomare del borgo di Santa Lucia, da cui la fontana prende il nome.
 Bernardo De Dominici riferisce erroneamente che la fontana sarebbe stata voluta dal viceré Don Pedro di Toledo e realizzata da Giovanni Domenico D'Auria sotto la supervisione del suo maestro Giovanni da Nola, il quale avrebbe scolpito le ricche decorazioni. Tuttavia solo nel 1606 la fontana sarebbe stata assemblata. Da quanto affermato dal De Dominici (che fu riportato anche da Carlo Celano) invalse la denominazione di questa fontana come fontana Merliana o del Merliano. In seguito a successive ricerche ben più approfondite la ricostruzione del De Dominici è stata bollata come invenzione.
Nel 1620 la fontana fu abbellita e spostata più avanti verso il mare per volere del viceré cardinale Gaspare Borgia.
Nel 1845 Ferdinando II promosse lavori di risistemazione della strada di Santa Lucia e il restauro della fontana. Questo fu affidato all'architetto Carlo Bonucci, il quale sostituì alcuni elementi danneggiati. Sia la risistemazione della strada che il restauro della fontana furono ricordati con due lapidi poste sulla stessa fontana, il cui testo fu dettato da Bernardo Quaranta. Nella lapide sul restauro della fontana fu sancito l'errore del De Dominici perché affermava Giovanni da Nola esserne l'autore.
Nel 1895 venne rimossa da via Santa Lucia nell'ambito dei lavori di colmata a mare della borgata che non erano ancora terminati ai primi del Novecento. Fu collocata nella villa nel 1898.
Fino al 1600 questa strada era ingombra tutta di poveri abitati di pescatori, formando piuttosto una rozza borgata che una via di città Capitale. Gusmano di Olivares, viceré spagnolo, cominciò a togliere via quelle casucce ed a facilitarne la discesa. Quel tratto di strada che dalla reggia viene giù fino al mare, era già denominato via Gusmana dal suo nome; ma avendo messo una statua di Giove Terminale fu detta del gigante. Ebbe poi il nome di Santa Lucia da una chiesa intitolata a questa Vergine che fu demolita per allivellare la strada.
La località divenne meta rinomata del turismo d'élite organizzato nel cosiddetto Grand Tour, e nel corso del settecento i principi di Francavilla vi costruirono un casino fra il mare e via Chiatamone, di cui furono ospiti molti personaggi celebri (fra cui Giacomo Casanova) e che poi passò prima in proprietà della famiglia reale e, poi, di Alessandro Dumas; dell'antico luogo di delizie, tanto apprezzato dalla regina Maria Carolina, è oggi visibile solo un'ala superstite che si erge ancora alle spalle del centro congressi universitario.
Nel rione visse l'ammiraglio Francesco Caracciolo, prima valente ufficiale della Marina Borbonica e poi martire della repubblica napoletana del '99, che, per ordine dell'ammiraglio Nelson e proprio di fronte al lungomare, fu barbaramente impiccato e gettato in mare; il corpo, risalito a galla e recuperato dai popolani di Santa Lucia, ottenne cristiana sepoltura nell'altra chiesa del rione, quella di Santa Maria della Catena, dove un epitaffio, posto nel 1881, ricorda l'episodio.
Sommer, Giorgio (1834-1914) - n. 11xx - Napoli, S. Lucia e Hotel de Rome.jpg
Giorgio Sommer (1834-1914) - n° 11?? - Napoli, S. Lucia e Hotel de Rome (1865 circa).
Tra le tante tradizioni Santa Lucia vanta una particolare usanza oggi quasi dimenticata: La festa detta della “Nzegna”:
Da il Mattino del 9 agosto 1902: “ Tranne che dai marinai, e forse sconosciuta a molti Napoletani la strana usanza del popolino di Santa Lucia, in occasione della festa detta “d' ‘a Zegna” che ricorre il 28 agosto, giorno di S.Agostino. Secondo questa pericolosa usanza, dall'alba del 28 agosto tutte le persone, gli innocui in special modo, che per loro sfortuna sono presi dai festaiuoli sulle banchine di Santa Lucia nuova e Santa Lucia vecchia, sono gettati irrimediabilmente in mare. L'anno scorso, se non andiamo errati, questa sorte tocco ad un prete, un militare, ed a parecchi scugnizzi”. Ci sono prove che la festa si sia svolta fino agli inizi degli anni 50 del novecento. I partecipanti portavano costumi di epoca Borbonica, e venivano scelte ogni anno tra gli abitanti del quartiere le controfigure di Ferdinando IV e Carolina, che in occasione della giornata sfilavano in carrozza con gli abiti reali per le strade del rione, tra gli applausi e le ironiche acclamazioni degli spettatori. 
Oggi sulla rada si affacciano alcuni fra i più prestigiosi circoli nautici napoletani; presso di essi, nel 1960, vennero ospitati gli atleti e le squadre partecipanti alle gare di vela delle Olimpiadi di Roma, che si svolsero interamente nel golfo di Napoli, con partenza ed arrivo a Santa Lucia. In un noto programma d'archivio sui giochi, spesso messo in onda dal canale Raisport, si può riconoscere l'allora principe ereditario Costantino di Grecia che lavora sulla sua barca all'ombra del Borgo.
La poesia del luogo ha anche ispirato due fra le più celebri melodie della canzone napoletana: la famosissima Santa Lucia (oggi, tra l'altro, considerata l'inno ufficioso di Svezia) e Santa Lucia luntana, simbolo, quest'ultima, degli emigranti napoletani che partivano alla volta delle Americhe, che le davano l'ultimo sguardo mentre affollavano i ponti delle navi appena salpate dal vicino porto. Più di recente, il brano intitolato 'A Lucìana, scritto nel 1953 per Renato Carosone (e da questi portato al successo internazionale), ha immortalato nel testo un profilo tipico delle donne lucìane, che la adottarono quasi come loro inno.
Santa Lucia e, soprattutto, il Pallonetto, ritornano per cenni in molte opere di Giuseppe Marotta, scrittore celeberrimo per L'oro di Napoli ed autore anche de Il teatrino del Pallonetto, in cui narra le vicende del suo alter ego don Vito Cacace, che leggeva le notizie del giornale agli allora analfabeti abitanti, carpendone i coloriti commenti; dal medesimo Marotta sono dedicate a Santa Lucia, e ai lucìani, anche pagine de Gli alunni del sole e de Gli alunni del tempo. https://it.wikipedia.org/wiki/Borgo_Santa_Lucia

martedì 10 marzo 2020

San Gennaro non dice mai no - Giuseppe Marotta

San Gennaro non dice mai no è una raccolta di racconti scritti da Giuseppe Marotta in occasione di un suo viaggio nella città natale, Napoli, nel 1947 e pubblicata l'anno successivo.
La lettura mette in evidenza una Napoli appena uscita dagli orrori della guerra e caratterizzata appunto da tutta una serie di problemi di sopravvivenza che, peraltro, assumono aspetti molto particolari e interessanti.
L'autore manifesta il proprio attaccamento alle proprie origini delineando piacevolmente parecchi personaggi caratteristici della città partenopea. In "San Gennaro non dice mai no", che segue di poco "L'oro di Napoli" (1947), Giuseppe Marotta racconta il suo primo ritorno nella città nel dopoguerra: passata l'euforia della facile ricchezza, del mercato nero, dello sfrenato affarismo, Napoli non è più "milionaria", e ancora una volta si ritrova con il suo antico dramma: la miseria, la pazienza, il coraggio della sopportazione, la catturata assuefazione ai patimenti. Ma alla gente dei vicoli, ormai ritornata e rassegnata alla sua perenne condizione, San Gennaro non dice mai no e le regala, almeno, la rara e preziosa forza di saper aspettare.
Editore: Bompiani
Anno edizione: 1953
Pagine: 246 p.
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A più di settant’anni dalla prima edizione, torna in libreria, il 19 settembre 2020, San Gennaro non dice mai di no di Giuseppe Marotta per la #Polidoroeditore.
Allora come allora, nel marzo del 1947, Napoli, eccettuandone via dei Mille, via Tasso, il viale Elena e poche altre arterie di Chiaia di San Ferdinando del Vomero, era tutta un rione popolare. Napoli era allora un vicolo solo, un "basso" solo, una botteguccia sola. (p. 29)
Non importava vendere molto o vendere poco o non vendere affatto: bastava che si tentasse di vendere. (p. 29-30)
Napoli, primissimo dopoguerra. Fame, speranza, miseria e nobiltà. I vetturini si portano a spasso fra loro per non disperare, turisti non ce ne sono infatti. E se capita uno sprovveduto cliente, gli fanno pagare per dieci. Perché solo con dieci corse si ha denaro per cenare, non si può fare altrimenti. I borseggiatori invece, spesso malnutriti bambini vestiti di stracci, non lasciano scampo alle penne stilografiche. Ma se una vittima li impietosisce, son pronti a restituire il maltolto. I pescatori lavorano indefessi, anche se i guadagni non arrivano a far comprare il pane per l'intera famiglia, che di prassi ha più di cinque figli. Il mercato nero impazza e spopola, si vende tutto e di più, il contrabbando è una regola di vita, come se ci fosse un miracolo economico in corso. Tutti vendono, pochi comprano, però. Ma non per rispetto o timore della legge, ci mancherebbe. Perché il mercato illegale è tutt'altro che scuro o nascosto, è fatto alla luce del sole, ad ogni angolo, in ogni quartiere, è una necessità, non una ribellione oppure un'attività illecita solo per il gusto di infrangere la legge. E poi il fascino eterno del mare, le trattorie tipiche, piene di sapori e colori, le abitudini consolidate e quelle portate dalla guerra e dagli occupanti/liberatori anglo-americani. Un microcosmo dai toni vivaci, animato, animoso, ripieno di vita vissuta, dove l'amarezza viene dissipata nella speranza che arrivi o torni San Gennaro. Il quale appunto, non può dire di no, altrimenti non sarebbe il santo di Napoli…
Lasciatemi dire che a Napoli i Santi, dal supremo e volubile San Gennaro al distratto San Giuseppe, da Sant'Antonio che protegge Posillipo a San Pasquale che sorveglia attentamente Chiaia, non sono che autorevoli congiunti del popolo. Il napoletano ha San Luigi, Sant'Espedito e ogni altro Santo come a certi poveracci dei vicoli capita di essere imparentati con un insigne professore residente a via dei Mille. Questi poveracci descrivono orgogliosamente l'attività e i successi dell'eccezionale consanguineo, dicono: «E quello il commendatore ci è stretto cugino», solo per qualche consiglio o raccomandazione si permettono di disturbarlo, la verità è che si leverebbero il pane di bocca per accrescere il suo benessere. Così, o quasi, stanno le cose a Napoli tra il popolino e i Santi; ma sempre fede è, sempre amore. (p. 135)
 Sotto la scrittura ironica, sotto il ritmato e variegato tentativo di affresco di realtà eterogenee ma saldamente radicate ad un solo ed inimitabile luogo, si rintraccia la disperazione, il malcontento, i morsi della fame e anche della sete. Il tono scanzonato appena mitiga quello che è un panorama desolato, anche se i napoletani sono permeati da una irrefrenabile, atipica e tradizionale vivacità. E Marotta lo sa: “I napoletani inventano Napoli, si raccontano con qualche enfasi (...) trovano sollievo e consolazione in questo recitarsi”. Bozzetti certo, ma d'autore. Marotta inventa una lingua ed uno stile prettamente letterari, con un registro che non si fa mai schiacciare dal pathos o dalla retorica, minacce sempre presenti trattando tematiche come queste. E ne esce un libro godibile, il cui aspro contenuto è sciolto nella delicatezza di passaggi lirici, di tocchi poetici. Ingiustamente relegato a paraletterato, Giuseppe Marotta dunque rivela qualità inaspettate in questo volume del 1948, che come tutti i buoni libri non sente l'età.
Il vero mare di Napoli è quello esiguo e domestico di Santa Lucia, di Coroglio e di Posillipo. Consuma Castel dell'Ovo e il Palazzo Donn'Anna, bruca il muschio delle vecchie pietre, sente d'alga e di sale come nessun altro mare. (p. 42-43)

martedì 3 marzo 2020

Dobbiamo aspettare Ama', adda passa' a nuttata! (Gennaro Iovine). Napoli milionaria, film del 1950 diretto da Eduardo De Filippo

Dobbiamo aspettare Ama', adda passa' a nuttata! (Gennaro Iovine)
Napoli milionaria è un film del 1950 diretto da Eduardo De Filippo che contribuì alla sceneggiatura e al cast cinematografico, basato sullo stesso soggetto della commedia Napoli milionaria!.
Fu presentato in concorso al Festival di Cannes 1951
Napoli. Gennaro è un tranviere; sua moglie contribuisce al reddito familiare praticando la borsa nera, con l'aiuto della figlia che vorrebbe una vita facile e priva di disagi. Il figlio invece non ha voglia di lavorare. Durante l'occupazione tedesca Gennaro viene deportato: arrivati a Napoli gli alleati si sviluppa ancora di più la borsa nera e la madre, con l'aiuto di un ricco trafficante, che in assenza del marito la corteggia, si arricchisce ancora di più. Anche il figlio fa molti soldi rubando e rivendendo parti di auto; la figlia, senza più nessun controllo, frequenta i soldati alleati.
Quando un giorno Gennaro, che era stato dato per disperso in Germania, si ripresenta a casa non riconosce più la sua famiglia, così diversa da come l'aveva lasciata. A completare il suo disorientamento si ammala gravemente la figlia minore, che per salvarsi avrebbe bisogno della penicillina, una medicina che però non si trova neppure alla borsa nera e che invece le viene data da un povero ragioniere che la moglie del tranviere ha spogliato dei suoi beni vendendogli alimenti con la borsa nera. La bimba guarisce e nella famiglia di Gennaro nasce la consapevolezza dei propri errori, mentre il figlio, che continua a fare il ladro, viene arrestato dalla polizia.
Eduardo De Filippo: Gennaro Iovine
Leda Gloria: Amalia, la moglie
Pietro Carloni: Settebellezze
Delia Scala: Maria Rosaria, la figlia
Gianni Glori: Amedeo, il figlio
Totò: Pasquale Miele
Titina De Filippo: donna Adelaide
Carlo Ninchi: il brigadiere
Dante Maggio: il pizzaiolo
Laura Gore: la signora Spasiani
Mario Soldati: il rag. Spasiani
Aldo Giuffré: Federico
Carlo Mazzoni: il sergente americano
Michael Tor: l'ufficiale americano
Aldo Tonti: un soldato americano
Pietro Carloni: Enrico Settebellezze
Mario Frera: Peppe 'o cricc
Pietro Pennetti: il medico
Giacomo Rondinella: il cantante
Rosita Pisano: Assunta
Concetta Palumbo: la piccola Rituccia
Mariano Englen: il ciabattino
Carlo Giuffré: Ernesto
Nino Vingelli: Giovanni, il barista
Francesco Penza: il portiere
Antonio La Raina: il fascista
Sandro Ruffini: voce narrante