Vetrina Vesuvio

venerdì 12 marzo 2021

La #Bacheca: #CINEMA | Bazzecole, quisquilie, pinzillacchere. San Giovanni decollato film del 1940, diretto da Amleto Palermi.

San Giovanni decollato è un film del 1940, diretto da Amleto Palermi.
Mastro Agostino Miciacio è un portiere e ciabattino napoletano che venera un dipinto raffigurante un'immagine di San Giovanni Battista decollato. Agostino ha l'abitudine di parlare con l'immagine sacra e di tenere acceso un lumino a olio presso l'immagine stessa in segno di devozione. Ogni notte però l'olio sparisce.
La devozione del portiere è tale da spingerlo a fare anche dei festeggiamenti che per la loro rumorosità gli tirano addosso le ire dei vicini e della sua famiglia; viene processato e poi assolto per semi-infermità mentale.
Il guappo Don Peppino vorrebbe imporre ad Agostino le nozze fra la figlia Serafina e Orazio, un lampionaio suo protetto: ma Serafina rifiuta categoricamente e assieme al suo innamorato fugge dai nonni di lui nel paese di Montebello Siculo in Provincia di Messina. Li raggiungeranno Agostino con la moglie Concetta e durante le nozze dei due giovani Agostino scaccerà Don Peppino scoprendo che era proprio lui il ladro di olio del lumino di San Giovanni.
Tratto dal testo teatrale in dialetto siciliano San Giovanni decollatu di Nino Martoglio, andato in scena per la prima volta nel 1908, questa edizione sonora del San Giovanni decollato (di cui era già stata realizzata nel 1917 una versione muta che risulta perduta), fu prodotta da Liborio Capitani.
In sede di sceneggiatura vi furono diverse modifiche rispetto all'opera originaria, come lo spostamento di gran parte della vicenda dalla Sicilia a Napoli, il nuovo personaggio del guappo, l'aggiunta della scena della battaglia dei piatti (che fu lo stesso Totò a suggerire) e differenze nella figura di donna Concetta.
La lavorazione del San Giovanni decollato iniziò al teatro 7 di Cinecittà il 18 settembre 1940 e si concluse alla fine di novembre dello stesso anno. Sino ad un certo punto fu indicato come regista Gero Zambuto con una supervisione tecnica di Amleto Palermi, ma successivamente la direzione del film passò direttamente a Palermi che si avvalse della collaborazione di Giorgio Bianchi.
In realtà il produttore Capitani aveva inizialmente offerto a Zavattini di realizzare la sua prima regia cinematografica, ma lo scrittore luzzarese rifiutò per quella che, rievocando la vicenda molti anni dopo, definì «una mia mancanza di coraggio, come sempre nella mia vita», restando come sceneggiatore ed autore dei dialoghi.
Di questo film molti hanno messo in particolare evidenza due scene: la prima, definita della "piattata", riguarda un'inquadratura molto lunga in cui viene ripresa una battaglia a colpi di piatti che, secondo,le cronache del tempo, sarebbe andata oltre le intenzioni della lavorazione coinvolgendo anche il personale, con oltre 1000 stoviglie rotte, ben 30.000 lire del tempo di costo, cumuli di cocci rimasti per giorni nel teatro di posa ed alcuni feriti tra cui la stessa Titina De Filippo.
Una seconda scena molto nota, è quella, brevissima, in cui compare la figlia allora di 7 anni di Totò, Liliana De Curtis, nel ruolo di una bimba che va a ritirare un paio di scarpe riparate, alla quale il produttore Capitani regalò una bambola
  • Bazzecole, quisquilie, pinzillacchere. (Mastro Agostino)
    • Non so leggere, ma intuisco. (Mastro Agostino)

     

giovedì 21 gennaio 2021

La #Bacheca: #CINEMA. Ho visto le stelle film diretto da Vincenzo Salemme.

Ho visto le stelle è un film del 2003 diretto da Vincenzo Salemme.
Compare nella pellicola anche Gian Fabio Bosco, qui presente al suo ultimo film.
Il giovane napoletano Antonio vuole partecipare ad un reality show e parte per Milano insieme al suo miglior amico Eugenio. wikipedia
Salemme torna al cinema con "Ho visto le stelle": una commedia italiana che segue il copione della commedia all'italiana, dove il teatro degli equivoci dà spazio a malintesi e fraintendimenti, battute e paradossi. Quindi risate ( del pubblico ). La storia prende spunto dal programma più visto e passato dalle emittenti televisive di oggi: il reality show. Ma Salemme ci gioca sopra e ne capovolge le dinamiche. Antonio ( Vincenzo Salemme ) è cresciuto con i nonni nella provincia napoletana. Ha ereditato dal nonno la fantasia e quell'atteggiamento goliardico e fanciullesco con cui affronta la vita. Si inscrive ad un concorso, trovato su Internet, per partecipare ad un reality show dal cast internazionale, convinto di diventare famoso. 
Parte alla volta di Milano con l'amico di una vita, Eugenio ( Maurizio Casagrande ). Supera il fantomatico provino. Inizia il "gioco". Ma ad una clausola: il protagonista dello spettacolo deve essere gay. Non c'è problema: Antonio si finge gay il risultato è una parodia pacchiana e divertente ed Eugenio diventa il suo "compagno" Giangi. L'intreccio si complica quando Antonio inizia a lavorare come cameriere nel ristorante di un boss ( Claudio Amendola ), in cui si esibisce la bella Alina ( Alena Seredova ), amante del boss. Fin qui tutto ok, se non fosse che Antonio, ignaro della frode subita, recita a tempo pieno la parte del gay effeminato, convinto di essere sul suo set permanente, spiato da telecamere e microfoni ovunque. Fin quando non arriva l'amore.. Come in un Truman Show capovolto, Salemme interpreta bene la parte dell'uomo qualunque, che parte alla ricerca della fama e che per la fama darebbe tutto. Si lascia fregare sborsando un capitale. Si finge gay e rinnega la sua passione per le donne. E' uno scherzo sulla Tv-in-diretta, tra Grandi Fratelli e Isole dei Famosi. Ma non solo. Il ricordo corre veloce a Totò e Peppino. Le citazioni sono evidenti e fanno ridere: così c'è l'arrivo di Antonio ed Eugenio a Milano e c'è la lettera piena di errori che Peppino ( Eugenio ) scrive sotto la strampalata dettatura di Totò ( qui, Antonio ). Il film si svolge nel tradizionale teatro dell'assurdo, riadattato ai tempi odierni. La storia inizia, si complica e si scioglie nel lieto fine. Con gran semplicità. Per chi ha voglia di farsi due risate.  www.film.it

mercoledì 6 gennaio 2021

Festa farina e forca - Enzo Avitabile e i bottari di Portico

Vecchio motto borbonico, ancora valido, “Festa farina e forca” è il grido di Enzo Avitabile e i bottari di Portico. Molla che spinge al fronte la propria macchina da guerra musicale. Siamo due passi a destra dell’ecumenico “Salvamm’ ‘o munno”, il precedente disco d’esordio: laggiù, a pescare a piene mani nelle radici del Sud, magiche e contadine, gonfie di preghiere fatte pastellessa, canto-lamento, zeza, dialetto-lingua anagogica, unite ad amicizie funky. E poi, a sorpresa, arriva anche il salto tecnologico, con un secondo cd, in cui i maestri mondiali dell’elettronica remixano i brani di Avitabile più addomesticabili ai beat. Nomi notissimi: Matthew Herbert, Bill Laswell, Banco De Gaia, LLorca, Temple of sound. 
Difficile immaginare un disco più glocal. Il suono rude dei bottari si addomestica, accarezza i woofer, anche se l’ex bluesman napoletano è convinto che poche radio inseriranno qualche brano in playlist. Stavolta invece – senti “Rape ca te utele”, “Anola Trànola”, o “Soul makossa”, il pezzo migliore – potrebbe essere quella buona (buona per cosa, poi? visto che senza spinte dal circuito mainstream l’allegra banda dei bottari s’è già esibita, acclamatissima, nei festival di mezzo mondo). Il disco tiene, pieno di colori, nonostante diversi momenti di ripetitività e coretti ridondanti (“Requiem pe nisciuno”). Tini, botti e falci per la festa. Ma si tambureggia di meno rispetto al disco del 2004
Uno si attende il tuono delle percussioni. Invece vince la melodia, che affina e porta, come si dice, a maturità il gruppo. Ma il pubblico dal vivo spingerà quelle braccia a picchiare sulle botti, ancora e ancora, per il rave di Faccia gialla. freakoutmagazine

«Nella mia vita ho fatto tanti incontri importanti. Il primo è stato quello con James Brown, che poi mi ha fatto conoscere Afrika Bambaataa, Fela Kuti, quindi Manu Dibango, per me il Maceo Parker africano. Suonare con lui è stato meraviglioso, Manu era una forza della natura. Abbiamo fatto tante cose insieme, in Italia e all’estero, mi ricordo una serie di bellissimi concerti in Francia. Una grande esperienza». Enzo Avitabile, il più internazionale dei musicisti italiani, ricorda così Manu Dibango, il grande sassofonista nato nel dicembre del 1933 a Douala e scomparso lo scorso 24 marzo a Parigi a causa di complicazioni legate al covid-19. africarivista.it

Nuvola janca, nuvola sporca
Nuvola 'e terre ca nun bussa 'a porta,
Nuvola 'e prete, nuvola 'e fuoco,
Nuvola 'e cenere, nuvola storta.
E l'aspettajeno a braccia aperte
Comme 'o viento pe partì
E s'assettajeno a tavola
Sotta a chell'ira 'e Dio
Doppo magnato e vippeto
Ncape 'e cuscine ncoppe 'e mane
Du cielo uno e tutto
Terra ca tremma a mare
E po' l'addore d'o zolfo
Te dice 'o ffuoco c'arriva
E chiano 'o respiro l'vene a mancà 'a vita,
'Ncoppo a nu panno stiso,
Nu sursu 'e luna stracqua,
S'addurmette pe sempe, accarezzann l'acqua.
Da'a lettera 'e Plinio 'o Giovane, parlanno a Tacito do'o Zio
Ercolano, Pumpei... O Vesuvio quanno ascette a impazzì
Quann' 'o Vesuvio · Enzo Avitabile