San Giovanni decollato è un film del 1940, diretto da Amleto Palermi.
Mastro Agostino Miciacio è un portiere e ciabattino napoletano che venera un dipinto raffigurante un'immagine di San Giovanni Battista decollato. Agostino ha l'abitudine di parlare con l'immagine sacra e di tenere acceso un lumino a olio presso l'immagine stessa in segno di devozione. Ogni notte però l'olio sparisce.
La devozione del portiere è tale da spingerlo a fare anche dei festeggiamenti che per la loro rumorosità gli tirano addosso le ire dei vicini e della sua famiglia; viene processato e poi assolto per semi-infermità mentale.
Il guappo Don Peppino vorrebbe imporre ad Agostino le nozze fra la figlia Serafina e Orazio, un lampionaio suo protetto: ma Serafina rifiuta categoricamente e assieme al suo innamorato fugge dai nonni di lui nel paese di Montebello Siculo in Provincia di Messina. Li raggiungeranno Agostino con la moglie Concetta e durante le nozze dei due giovani Agostino scaccerà Don Peppino scoprendo che era proprio lui il ladro di olio del lumino di San Giovanni.
Tratto dal testo teatrale in dialetto siciliano San Giovanni decollatu di Nino Martoglio, andato in scena per la prima volta nel 1908, questa edizione sonora del San Giovanni decollato (di cui era già stata realizzata nel 1917 una versione muta che risulta perduta), fu prodotta da Liborio Capitani.
In sede di sceneggiatura vi furono diverse modifiche rispetto all'opera originaria, come lo spostamento di gran parte della vicenda dalla Sicilia a Napoli, il nuovo personaggio del guappo, l'aggiunta della scena della battaglia dei piatti (che fu lo stesso Totò a suggerire) e differenze nella figura di donna Concetta.
La lavorazione del San Giovanni decollato iniziò al teatro 7 di Cinecittà il 18 settembre 1940 e si concluse alla fine di novembre dello stesso anno. Sino ad un certo punto fu indicato come regista Gero Zambuto con una supervisione tecnica di Amleto Palermi, ma successivamente la direzione del film passò direttamente a Palermi che si avvalse della collaborazione di Giorgio Bianchi.
In realtà il produttore Capitani aveva inizialmente offerto a Zavattini di realizzare la sua prima regia cinematografica, ma lo scrittore luzzarese rifiutò per quella che, rievocando la vicenda molti anni dopo, definì «una mia mancanza di coraggio, come sempre nella mia vita», restando come sceneggiatore ed autore dei dialoghi.
Di questo film molti hanno messo in particolare evidenza due scene: la prima, definita della "piattata", riguarda un'inquadratura molto lunga in cui viene ripresa una battaglia a colpi di piatti che, secondo,le cronache del tempo, sarebbe andata oltre le intenzioni della lavorazione coinvolgendo anche il personale, con oltre 1000 stoviglie rotte, ben 30.000 lire del tempo di costo, cumuli di cocci rimasti per giorni nel teatro di posa ed alcuni feriti tra cui la stessa Titina De Filippo.
Una seconda scena molto nota, è quella, brevissima, in cui compare la figlia allora di 7 anni di Totò, Liliana De Curtis, nel ruolo di una bimba che va a ritirare un paio di scarpe riparate, alla quale il produttore Capitani regalò una bambola
- Bazzecole, quisquilie, pinzillacchere. (Mastro Agostino)
- Non so leggere, ma intuisco. (Mastro Agostino)