Vetrina Vesuvio

domenica 13 novembre 2022

Il terrazzo della villa rosa - Maria Orsini Natale

Il terrazzo della villa rosa - Maria Orsini Natale
Pubblicazione: Cava de’ Tirreni : Avagliano, 2001
Collezione: I tornesi
Numeri:    ISBN – 88-86081-74-X

Dopo il piccolo borgo, uno dei tanti sparsi sotto il viola della montagna, lì era l’antica costruzione settecentesca, vivida rosata. A un sol piano, ma lata, i balconi spiegati; non appena si aggirava il poggio dei tre pini e la macchia di ginestre e lava, allora appariva: barocca, lirica, spuntava all’improvviso nel rustico della campagna come un sonoro attacco d’organo.

Un terrazzo vesuviano rallegrato dal sole e dall’odore dei limoni, con il vulcano che si erge splendido e minaccioso alle sue spalle, è il palcoscenico su cui una colorita folla di personaggi vive le sue storie d’amore e di amicizia. In questo scenario fiorisce l’idillio prima radioso e poi tragico di Nicola e Ghisella, al quale s’intrecciano i fili di altre vicende ora grottesche ed ora drammatiche, come quella del giovane Vittorino sorpreso a letto con la cognata, o la lite tra il guappo e il barbiere Giosuè, la delusione dell’antifascista Michele all’arrivo degli anglo-americani, il tradimento della bellissima Rosa costretta dai vicini a rinsavire…

"E c’erano assi di legno con distese di fusilli ad asciugare, fatti a mano da donna Carmelina ‘a fusellara, la suocera di Mauriello il ciclista, una donna ancora fresca e sempre attiva, i pendenti di corallo in perpetuo dondolio ai lobi degli orecchi. E, nell’alternarsi delle stagioni, frutta a seccare. In quel maggio, coperte da rustico velo a trama larga, c’erano albicocche del vulcano, ‘e mmaggese, quelle che, dorate come il sole, fiammeggiavano le sue terre e lo racconatavano. Senza la copertura di velo, invece, i tavolati con le melanzane, amare alle mosche, ma le più saporite, ‘e ppaisane, che arrivavano dalle masserie del Fruscio. Primaticce sotto le pagliarelle, annunciavano le altre, quelle più asciutte del luglio e dell’agosto." (Capitolo 2)

"Lasciali stare quelli dell’Alta Italia. So’ brava gente, sempre in mezzo alla nebbia, e sono poco invidiosi. Loro devono lavorare una vita intera, essere fortunati, vincere un terno al lotto per venire qua a godersi il sole, e noi ci siamo nati. Sul nostro bilancio, all’attivo tu questo lo devi contare. Il clima ci fa cortesi e naturalmente allegri, e se noi abbiamo un privilegio di luogo e di temperamento, loro si arrogano un privilegio di giudizio. E la conclusione dev’essere l’accordo delle coscienze, un risolvimento armonioso a giusto delle cose. L’Italia è lunga, Giosuè, l’Italia è lunga, la latitudine delle sue regioni è diversa, cerchiamo di essere assennati: in una famiglia non sono uguali tutti i figli,  ma sempre fratelli sono, e tra fratelli mai l’insofferenza delle fazioni! E’ un veleno che attossica, che può chiamare alla rovina. (Capitolo 17)

Bellissimo scorcio di un pezzo di Italia che non esiste più. Siamo infatti nel 1938, prima della guerra, e l'autrice ci immerge in una realtà che sembra provenire da un altro mondo, da una fiaba, anche grazie alla sua prosa affabulatrice, poetica, favolistica, e alla sua profonda conoscenza del luogo e della sua antica cultura. Nella seconda parte siamo nel 1980 e vediamo come tutto quella che era è stato spazzato via dalla guerra ma soprattutto dal dopo guerra con la sua sfrenata ricostruzione e voglia di cambiamento; non restano che i ricordi di chi è sopravvissuto a testimoniare un mondo perduto per sempre.



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