Una leggenda popolare vuole che, nelle notti d’inverno, un’ombra misteriosa si aggiri sulla terrazza di una delle più famose dimore storiche di Napoli, Villa Ebe, capolavoro firmato dall’architetto Lamont Young. Costruita nel 1922 come abitazione privata dell’eclettico urbanista – padre scozzese e madre indiana -, questa palazzina in stile neogotico sorge in cima alle rampe di Pizzofalcone (da qui anche la denominazione di Castello di Pizzofalcone), poi intitolate a Young, nel quartiere storico di San Ferdinando, sorto attorno al XVI secolo quando gli spagnoli costruirono l’antica residenza dei viceré.
Il fantasma che si intravede sarebbe quello dell’architetto nato nel 1851, irritato per lo stato di abbandono e grave degrado in cui da molti anni si trova questa villa che, come altri suoi progetti, doveva rendere Napoli un centro d’importanza turistica al pari di Parigi, Londra e altre grandi città europee. Il genio creativo di Young si espresse qui abbinando architettura urbana e rurale in una nuova concezione mescolando, fra l’altro, elementi di cultura scozzese, indiana e elvetica (Lamont compì i suoi studi in Svizzera) dando forma alle pietre.
A ospitare Villa Ebe, che deve il suo nome a Ebe Cortazzi, moglie siciliana dell’architetto, è Monte Echia, detto anche Monte di Dio o Pizzofalcone: all’ingresso della dimora, sopra il portone, si legge un’iscrizione adornata da un sole dorato con lunghi raggi che protendono in direzione della luna poggiata alle onde del mare.
Progettata su modello del Castello Aselmeyer di corso Vittorio Emanuele (al civico 166), la villa rimase dimora di Young sino al 1929, quando l’incompreso artista si tolse la vita, proprio sulla terrazza, con un arma da fuoco; qualche anno più tardi Ebe convolò a nuove nozze con Camillo Guerra, anch’egli architetto, e rimase ad abitarvi sino al 1970.
Dall’agosto del 1997 la villa è proprietà del Comune di Napoli che aveva pensato di trasformarla in un museo d’architettura in stile Liberty oltre che in sede per mostre e convegni, progetto però poi ben presto abbandonato. Fortunatamente anche l’intenzione di abbattere la villa per fare spazio a un ampio parcheggio venne messa da parte grazie soprattutto all’intervento di un artista locale, Pasquale della Monaco, riuscito ad ottenere dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici il vincolo culturale per l’edificio.
Forme e dimensioni che caratterizzano l’edificio neogotico giunto ai nostri giorni sono però differenti dal progetto ideato in origine: ad affiancare Villa Ebe c’era infatti una seconda costruzione, adibita a residenza dell’antica famiglia Astarita, andata distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale in un bombardamento anglo americano.
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