Salvatore Argenziano
'A Lenga Turrese.
(cm 20 x 14); pp. 160.
(cm 20 x 14); pp. 160.
Torre del Greco (NA), Nunzio Russo Editore, 2004
SALVATORE ARGENZIANO
torrese da Bologna
torrese da Bologna
è nato a Torre del Greco, abbasciammare, nel 1933. Ha
frequentato le Medie ncoppacristoforocolombo, il Ginnasio aretutriato e il
Liceo Classico Gaetano De Bottis, ammiezatorre. A Torre è rimasto fino al
1960 quando, laureato in ingegneria, è partito per Milano. Ha avuto amici
torresi a centinaia. Si me putesse vennere l'amici, sarria miliardario. Ha
svolto la professione a Milano, Cagliari, Bologna e Genova. Attualmente ha
ridotto al minimo l'attività professionale e si diverte a scrivere
stroppole sulla Lenga Turrese. Vive a Bologna con la moglie torrese,
Gianna De Filippis, sposata nel 1962. Ha un figlio e due nipotine, di
tredici e di tre anni che però, peggio pe lloro, non conoscono il torrese.
La foto è di Giugno 2001, quando è nata la piccola.
Lingua originale torrese
Tore Argenziano
è nato â Torre, abbasciammare, quann'era u 1933. È ghiuto â scola media ncoppacristo- forocolombo, û ginnasio aretutriato e û liceo ammiezatorre. Â Torre è rummasto nfi' û 1960, quanno, pigliatase a laurea 'i ngignere, partette pe Milano. Teneva cumpagni turrisi a centenara. "Si me putesse vennere l'amici, sarria miliardario". Ha faticato a Milano, Cagliari, Bologna e Genova. Mo fatica quanto meno po' e se sfizea a scrivere stroppole ncopp'a lenga turrese. Sta 'i casa a Bologna c'a mugliera, Gianna De Filippis, che ha pigliato û 1962. Tene nu figlio e doje niputelle, una 'i tririci e nata 'i tre anni ca però, peggio pe lloro, nun canoscono u tturrese. http://www.torreomnia.it
è nato â Torre, abbasciammare, quann'era u 1933. È ghiuto â scola media ncoppacristo- forocolombo, û ginnasio aretutriato e û liceo ammiezatorre. Â Torre è rummasto nfi' û 1960, quanno, pigliatase a laurea 'i ngignere, partette pe Milano. Teneva cumpagni turrisi a centenara. "Si me putesse vennere l'amici, sarria miliardario". Ha faticato a Milano, Cagliari, Bologna e Genova. Mo fatica quanto meno po' e se sfizea a scrivere stroppole ncopp'a lenga turrese. Sta 'i casa a Bologna c'a mugliera, Gianna De Filippis, che ha pigliato û 1962. Tene nu figlio e doje niputelle, una 'i tririci e nata 'i tre anni ca però, peggio pe lloro, nun canoscono u tturrese. http://www.torreomnia.it
La
lingua napoletana si è formata lungo i secoli per un complesso gioco di
influenze, assorbimenti, stratificazioni. Da quando Parthenope e poi
Neapolis assunsero una posizione importante nell’arco del Golfo, i
processi di formazione linguistica si misero in moto. Alla lingua dei
fondatori arrivarono i molteplici contributi delle parlate esistenti nei
casali e nei borghi vicini.
Non
solo, ma col tempo e lo sviluppo dei commerci, sul tronco originario si
innestarono anche le venature provenienti da più lontano, dall’Abruzzo o
dalla Puglia, per esempio.
Dalle lingue che si incrociavano, nasceva il ‘napoletano’. Ma l’assorbimento di fonemi, espressioni, modi di dire, pronunce e costruzioni sintattiche se da un lato consolidava il ‘corpus’ del linguaggio partenopeo, dall’altro non snaturava -se non nei limiti di uno sviluppo naturale- le lingue e le parlate che contribuivano al ‘parlar napoletano’. Ogni centro abitato, borgo, casale, villaggio, conservava la sua identità, frutto a sua volta di altri complessi meccanismi di fusione. Una storia affascinante.
Al centro del Golfo, Torre del Greco partecipava a questa avventura di civiltà linguistica, comportandosi allo stesso modo di una spugna pescata nel mar Mediterraneo. Prendeva e riversava le sue peculiarità fonetiche e grammaticali, conservando intatto il nucleo originario della propria specificità. Un moto oscillatorio durato per secoli e che, come le onde marine, ha lasciato a riva un gran patrimonio culturale che va salvaguardato, nell’epoca di troppo disinvolte globalizzazioni.
Va perciò salutato e apprezzato l’impegno di chi - sia pure dicendo che lo fa per il solo, legittimo e gioioso desiderio di entrare in un campo così appassionante- consente di catalogare e conservare parole, frasi, modi di comunicare, verbi e toponimi che appartengono alla storia di una terra segnata da tante vicende significative e dense di operosa umanità. Tanto più che questo libro sembra poter assumere i caratteri di una ‘prima pietra’ molto importante nella ricognizione storica e linguistica del territorio tra il Vesuvio e il mare. Perchè le felici ricerche dell’autore, spiegate con una semplicità che non sacrifica la profondità dello scavo, spingono a farsi domande e a porsi interrogativi.
La parlata torrese fu influenzata in sommo grado dall’antica lingua greca e latina. Ma quale fu - e certo ci fu - il ruolo della lingua Osca, tanto misteriosa quanto presente sul territorio della Campania in epoca pre-romana? Era osca Pompei, e i pompeiani conservarono l’influsso della vecchia lingua anche in epoca imperiale. E quale fu l’impatto di quel ‘modo’ di parlare sulle cadenze proprie del linguaggio torrese, arrivate fino ai nostri giorni? In latino, per esempio, ‘imperatore’ si diceva ‘imperator’. Ma in lingua osca si pronunciava ‘M’brador’... Cioè quasi nello stesso modo in cui lo si potrebbe dire oggi, all’ombra del vulcano...
E in quale misura, poi, questa tipologia di pronuncia si trasferì nella città-guida sul territorio, cioè Neapolis? E’ storicamente accertato che in epoche successive, dopo alcune pestilenze, la popolazione della Capitale del regno fu rimpolpata chiamando dai vicini Casali molti abitanti. Anche da Torre del Greco. E poi, l’influenza araba, riscontrabile perfettamente ancor oggi in alcuni quartieri storici, e dovuta anche allo stanziamento di truppe saracene. Si diceva: “Tre so’ li poste della Saracina: ‘a Torre, Cremano e Resina...’’
Ecco dove ci può portare la lettura di questo bel libro.
Dalle lingue che si incrociavano, nasceva il ‘napoletano’. Ma l’assorbimento di fonemi, espressioni, modi di dire, pronunce e costruzioni sintattiche se da un lato consolidava il ‘corpus’ del linguaggio partenopeo, dall’altro non snaturava -se non nei limiti di uno sviluppo naturale- le lingue e le parlate che contribuivano al ‘parlar napoletano’. Ogni centro abitato, borgo, casale, villaggio, conservava la sua identità, frutto a sua volta di altri complessi meccanismi di fusione. Una storia affascinante.
Al centro del Golfo, Torre del Greco partecipava a questa avventura di civiltà linguistica, comportandosi allo stesso modo di una spugna pescata nel mar Mediterraneo. Prendeva e riversava le sue peculiarità fonetiche e grammaticali, conservando intatto il nucleo originario della propria specificità. Un moto oscillatorio durato per secoli e che, come le onde marine, ha lasciato a riva un gran patrimonio culturale che va salvaguardato, nell’epoca di troppo disinvolte globalizzazioni.
Va perciò salutato e apprezzato l’impegno di chi - sia pure dicendo che lo fa per il solo, legittimo e gioioso desiderio di entrare in un campo così appassionante- consente di catalogare e conservare parole, frasi, modi di comunicare, verbi e toponimi che appartengono alla storia di una terra segnata da tante vicende significative e dense di operosa umanità. Tanto più che questo libro sembra poter assumere i caratteri di una ‘prima pietra’ molto importante nella ricognizione storica e linguistica del territorio tra il Vesuvio e il mare. Perchè le felici ricerche dell’autore, spiegate con una semplicità che non sacrifica la profondità dello scavo, spingono a farsi domande e a porsi interrogativi.
La parlata torrese fu influenzata in sommo grado dall’antica lingua greca e latina. Ma quale fu - e certo ci fu - il ruolo della lingua Osca, tanto misteriosa quanto presente sul territorio della Campania in epoca pre-romana? Era osca Pompei, e i pompeiani conservarono l’influsso della vecchia lingua anche in epoca imperiale. E quale fu l’impatto di quel ‘modo’ di parlare sulle cadenze proprie del linguaggio torrese, arrivate fino ai nostri giorni? In latino, per esempio, ‘imperatore’ si diceva ‘imperator’. Ma in lingua osca si pronunciava ‘M’brador’... Cioè quasi nello stesso modo in cui lo si potrebbe dire oggi, all’ombra del vulcano...
E in quale misura, poi, questa tipologia di pronuncia si trasferì nella città-guida sul territorio, cioè Neapolis? E’ storicamente accertato che in epoche successive, dopo alcune pestilenze, la popolazione della Capitale del regno fu rimpolpata chiamando dai vicini Casali molti abitanti. Anche da Torre del Greco. E poi, l’influenza araba, riscontrabile perfettamente ancor oggi in alcuni quartieri storici, e dovuta anche allo stanziamento di truppe saracene. Si diceva: “Tre so’ li poste della Saracina: ‘a Torre, Cremano e Resina...’’
Ecco dove ci può portare la lettura di questo bel libro.
Ed è un altro suo pregio.
Mimmo Liguoro
Mimmo Liguoro
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